Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

venerdì 13 settembre 2013

Dietrich Bonhoeffer

Da "http://www.liceo-carducci.it/nuovo_sito/delbianco/" :

di Enrico Del Bianco
Religione, secolarizzazione, Bonhoeffer... Gesù Cristo

Oggi si dà per scontato un ritorno del sacro e quindi una nuova era religiosa.
Secondo questo modo di pensare la secolarizzazione sarebbe alla fine e con essa quella cosa brutta e cattiva che è stata la modernità.
Chi scrive è convinto dell’infondatezza di tale previsione e, soprattutto, ritiene che se anche così fosse non ci sarebbe da essere contenti.
Soprattutto in ambienti cattolici, ma non solo, si è portati a concepire l’essere cristiani in contrapposizione all’Illuminismo, alla modernità e alla laicità.
Senza negare gli aspetti negativi  di questi esperienze, (ma quando mai nella storia si può parlare solo di positività!) sono convinto che esse siano un frutto del cristianesimo e contemporaneamente la premessa per un tentativo più autentico di fede e di sequela di Gesù Cristo.

Per dirla con Barth e con Bonhoeffer, il Dio padre di Gesù Cristo irrompe nella storia per liberare le donne e gli uomini da tutte le forme di schiavitù e quindi anche dalla schiavitù religiosa, dai falsi dei che vogliono sedare la rabbia contro le ingiustizie, insomma il "Dio vivente non vende oppio al popolo, ma smaschera l’oppio del popolo".

Bonhoeffer, in particolare, nel momento più drammatico della sua esistenza, durante la prigionia in un campo nazista, in attesa della morte, non cerca un dio che lo consoli a buon mercato, non cerca un rifugio religioso edificante, ma propone l’impegno nel mondo divenuto adulto per partecipare alle sofferenze di Dio negli uomini.

In attesa di un intervento approfondito che spero di realizzare prossimamente, ritengo opportuno pubblicare alcuni estratti delle lettere dal carcere di Bonhoeffer centrate sul tema del cristianesimo non religioso.
Con ciò spero di stimolare una lettura diretta del grande teologo protestante da parte di chi è interessato a questioni di questo tipo e di contribuire a liberare un cristiano che ha ritenuto (giustamente dico io!) di dover testimoniare Gesù Cristo partecipando ad un attentato ad Hitler dalla riduzione a "santino" buonista, per giunta "quasi cattolico" suo malgrado.
Il cristianesimo non religioso, infatti, non può che essere compreso nell’orizzonte del Sola fide luterano.

Da D. Bonhoeffer, Resistenza e resa, Ed. Paoline, Milano, 1988

Dalla Lettera del 30 aprile 1944 (pp. 348 - 351)

Ciò che mi preoccupa continuamente è la questione di che cosa sia veramente per noi, oggi, il cristianesimo, o anche chi sia Cristo.
È passato il tempo in cui questo lo si poteva dire agli uomini tramite le parole, siano esse parole teologiche oppure pie; così come è passato il tempo della interiorità e della coscienza, cioè appunto il tempo della religione in generale.
Stiamo andando incontro ad un tempo completamente non-religioso; gli uomini, così come ormai sono, semplicemente non possono più essere religiosi.
Anche coloro che si definiscono sinceramente "religiosi", non lo mettono in pratica in nessun modo; presumibilmente, con "religioso" essi intendono qualcosa di completamente diverso.
Il nostro annuncio e la nostra teologia cristiani nel loro complesso, con i loro 1900 anni, si basano però sull’"apriori religioso" degli uomini.
Il "cristianesimo" è stato sempre una forma (forse la vera forma) della "religione".
Ma se un giorno diventa chiaro che questo "apriori" non esiste affatto, e che s’è trattato invece di una forma d’espressione umana, storicamente condizionata e caduca, se insomma gli uomini diventano davvero radicalmente non religiosi, e io credo che più o meno questo sia già il caso (da che cosa dipende ad esempio il fatto che questa guerra, a differenza di tutte le precedenti, non provoca una reazione "religiosa"?), che cosa significa allora tutto questo per il "cristianesimo"?
Vengono scalzate le fondamenta dell’intero nostro "cristianesimo" qual è stato finora, e noi "religiosamente" potremo raggiungere soltanto qualche "cavaliere solitario" o qualche persona intellettualmente disonesta.
Dovrebbero essere questi i pochi eletti? Dovremmo gettarci zelanti, stizziti o sdegnati proprio su questo equivoco gruppo di persone per smerciar loro la nostra mercanzia?
Dovremmo noi aggredire qualche infelice colto in un momento di debolezza e per così dire, violentarlo religiosamente?
Se non vogliamo niente di tutto questo, se alla fine anche la forma occidentale del cristianesimo dovessimo giudicarla solo uno stadio previo rispetto ad una totale non-religiosità, che situazione ne deriverebbe allora per noi, per la Chiesa?
Come può Cristo diventare il signore anche dei non-religiosi? Ci sono cristiani non-religiosi?
Se la religione è solo una veste del cristianesimo, e questa veste ha assunto essa pure aspetti molto diversi in tempi diversi, che cos’è allora un cristianesimo non-religioso?
Barth, che è stato l’unico ad aver cominciato a pensare in questa direzione, non ha poi portato a termine e pensato fino in fondo queste idee, ma è pervenuto invece ad un positivismo della rivelazione (Offenbarungspositivismus) che in fin dei conti s’è ridotto ad una sostanziale restaurazione.
Qui l’operaio non-religioso o l’uomo in generale non hanno guadagnato nulla di decisivo.
Le risposte cui bisognerebbe rispondere sono invece: che cosa significano una Chiesa, una comunità, una predicazione, una liturgia, una vita cristiana in un mondo non-religioso?
Come parliamo di Dio, senza religione, cioè appunto senza i presupposti storicamente condizionati della metafisica, dell’interiorità, ecc.?
Come parliamo (o forse appunto ormai non si può piú "parlarne" come s’è fatto finora) "mondanamente" (weltlich) di "Dio", come siamo cristiani "non-religiosi-mondani", come siamo ek-klesía, cioè chiamati-fuori, senza considerarci religiosamente favoriti, ma piuttosto in tutto e per tutto appartenenti al mondo?
Cristo allora non è piú oggetto della religione, ma qualcosa di totalmente diverso, veramente il signore del mondo.
Ma che significa questo? Che significato hanno il culto e la preghiera nella non-religiosità?
Acquista forse una nuova importanza a questo punto la disciplina dell’arcano, ovvero la mia distinzione (che tu già conosci) tra penultimo e ultimo?
[...]
Spesso mi chiedo perché un "istinto cristiano" mi spinga frequentemente verso le persone non-religiose piuttosto che verso quelle religiose, e ciò assolutamente non con l’intenzione di fare il missionario, ma potrei quasi dire "fraternamente".
Mentre davanti alle persone religiose spesso mi vergogno a nominare il nome di Dio, perché in codesta situazione mi pare che esso suoni in qualche modo falso, e io stesso mi sento un po’ insincero (particolarmente brutto è quando gli altri cominciano a parlare in termini religiosi; allora ammutolisco quasi del tutto, e la faccenda diventa per me in certo modo soffocante e sgradevole), davanti alle persone non-religiose in certe occasioni posso nominare Dio in piena tranquillità e come se fosse una cosa ovvia.

Le persone religiose parlano di Dio quando la conoscenza umana (qualche volta per pigrizia mentale) è arrivata alla fine o quando le forze umane vengono a mancare, e in effetti quello che chiamano in campo è sempre il deus ex machina, come soluzione fittizia a problemi insolubili, oppure come forza davanti al fallimento umano; sempre dunque sfruttando la debolezza umana o di fronte ai limiti umani; questo inevitabilmente riesce sempre e soltanto finché gli uomini con le loro proprie forze non spingono i limiti un po’ più avanti, e il Dio inteso come deus ex machina non diventa superfluo; per me il discorso sui limiti umani è diventato assolutamente problematico (sono oggi ancora autentici limiti la morte, che gli uomini quasi non temono più, e il peccato, che gli uomini quasi non comprendono?); mi sembra sempre come se volessimo soltanto "timorosamente salvare un po’ di spazio per Dio"; io vorrei parlare di Dio non ai limiti, ma al centro, non nelle debolezze, ma nella forza, non dunque in relazione alla morte e alla colpa, ma nella vita e nel bene dell’uomo.

Raggiunti i limiti, mi pare meglio tacere e lasciare irrisolto l’irrisolvibile.
La fede nella resurrezione non è la "soluzione" del problema della morte.
L’"aldilà" di Dio non è l’aldilà delle capacità della nostra conoscenza!
La trascendenza gnoseologica non ha nulla che fare con la trascendenza di Dio.
È al centro della nostra vita che Dio è aldilà.
La Chiesa non sta lì dove vengono meno le capacità umane, ai limiti, ma sta al centro del villaggio.
Così stanno le cose secondo l’Antico Testamento, e noi leggiamo il Nuovo Testamento ancora troppo poco a partire dall’Antico.
Attualmente sto riflettendo molto su quale aspetto abbia questo cristianesimo non-religioso, e quale forma esso assuma; te ne scriverò presto ancora e più a lungo.
Forse a questo proposito a noi che ci troviamo al centro tra est ed ovest tocca un compito importante.

Dalla Lettera del 16 Luglio 1944 (pp. 438 - 440)

Mi sto avvicinando un po’ alla volta alla interpretazione non religiosa dei concetti biblici.
Vedo di più il compito, di quanto non riesca già a risolverlo.
Per quanto riguarda l’aspetto storico: quella che porta all'autonomia del mondo è una grande evoluzione.
In teologia, anzitutto Hebert di Cherbury, che è stato il primo ad affermare la sufficienza della ragione per la conoscenza religiosa.
In morale: Montaigne e Bodin, che elaborano delle regole di condotta al posto dei comandamenti.
In politica: Machiavelli, che svincola la politica dalla morale comune e fonda la dottrina della ragion di stato.
Più tardi molto diverso da lui nei contenuti, ma conforme per quanto riguarda la prospettiva della autonomia della società degli uomini, H. Grotius, che formula il suo diritto naturale come diritto dei popoli, valido "etsi deus non daretur", "anche se Dio non esistesse".
Infine il contributo conclusivo della filosofia: da una parte il deismo di Descartes: il mondo è un meccanismo che procede autonomamente, senza l'intervento di Dio; dall'altra il panteismo di Spinoza: Dio è la natura.
Kant in sostanza è deista, Fichte ed Hegel sono panteisti.
Ovunque la meta del pensiero è l'autonomia dell'uomo e del mondo.
Nelle scienze della natura la cosa comincia evidentemente con Nicolò Cusano e con Giordano Bruno e la loro dottrina, "eretica", dell'infinità del mondo.
Sia il cosmo antico che il mondo creato secondo la concezione medioevale sono finiti.
Un mondo infinito, comunque esso sia concepito, si basa su se stesso, "etsi deus non daretur".
La fisica moderna invero rimette in discussione l'infinità del mondo, senza però con questo ricadere nel concetto antico della sua finitezza.
Dio inteso come ipotesi di lavoro morale, politica, scientifica, è eliminato, superato; ma lo è ugualmente anche come ipotesi di lavoro filosofica e religiosa (Feuerbach!).
Rientra nell'onestà intellettuale lasciar cadere questa ipotesi di lavoro, ovvero rimuoverla quanto più completamente possibile.
Uno scienziato, un medico ecc. edificanti sono come degli ermafroditi.
Dove dunque Dio mantiene ancora uno spazio per sé? Chiedono gli animi pavidi, e poiché non trovano risposta, condannano tutt’intera questa evoluzione che li ha condotti in una siffatta situazione di difficoltà.
[...]
Ci sarebbe da aggiungere il salto mortale all’indietro nel Medioevo.
Ma il principio del medioevo e l’eteronomia in forma di clericalismo.
Ritornare a questo può invero risultare solo un passo disperato, che non può essere compiuto se non a prezzo del sacrificio dell’onestà intellettuale.
[...]
E non possiamo essere onesti senza riconoscere che dobbiamo vivere nel mondo “etsi deus non daretur”.
E appunto questo riconoscimento davanti a Dio! Dio stesso ci obbliga a questo riconoscimento.
Così il nostro diventare adulti ci conduce a riconoscere in modo più veritiero la nostra condizione davanti a Dio.
Dio ci dà a conoscere che dobbiamo vivere come uomini capaci di far fronte alla vita senza Dio.
Il Dio che è con noi è il Dio che ci abbandona (Mc, 15,34)!
Il Dio che ci fa vivere nel mondo senza l’ipotesi di lavoro Dio è il Dio davanti al quale permanentemente stiamo.
Davanti e con Dio viviamo senza Dio.
Dio si lascia cacciare fuori del mondo sulla croce, Dio è impotente e debole nel mondo e appunto solo così egli ci sta al fianco e ci aiuta.
E assolutamente evidente, in Mt 8,17, che Cristo non aiuta in forza della sua onnipotenza, ma in forza della sua debolezza, della sua sofferenza!
Qui sta la differenza rispetto a qualsiasi religione.
La religiosità umana rinvia l’uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel mondo, Dio è il deus ex machina.
La Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare.
In questo senso si può dire che la descritta evoluzione verso la maggior età del mondo, con la quale si fa piazza pulita di una falsa immagine di Dio, apra lo sguardo verso il Dio della Bibbia, che ottiene potenza e spazio nel mondo grazie alla sua impotenza.
Qui dovrà appunto inserirsi la “interpretazione mondana”.
[...]

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