Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

sabato 19 ottobre 2013

Salvador Dalì

Ma un vero poeta non tace mai, qualsiasi sia la sua prigione.
Salvador Dalì ebbe a dire una volta che se mai fosse stato rinchiuso in una cella buia senza tele e pennelli avrebbe continuato a dipingere con i fosfeni, quei segni e punti luminosi e colorati che si ottengono premendo sugli occhi chiusi.


Da WikiQuote:

Citazioni di Salvador Dalí

  • Che cos'è il cielo? Dove si trova? Il cielo non si trova né sopra né sotto, né a destra né a sinistra; il cielo è esattamente nel centro del petto dell'uomo che ha fede!
  • Il meno che si possa chiedere a una scultura è che stia ferma.
  • L'unica differenza tra me e un folle è che io non sono folle.
  • Non aver paura della perfezione: non la raggiungerai mai.
  • Quelli che non vogliono imitare qualcosa, non producono nulla.

Citazioni su Salvador Dalí

  • Dalí, durante l'ultima intervista che fece nella sua lunga vita, mi disse che la più grande pace, la pace assoluta, era quella dei sensi. (Roberto Gervaso)
  • [In una lettera a Stefan Zweig] Finora, ero portato a considerare completamente insensati (o diciamo al 95% come per l'alcool) i surrealisti, che pare mi avessero adottato quale santo patrono. Questo giovane spagnolo con i suoi occhi candidi e fanatici e la sua innegabile padronanza tecnica mi ha fatto cambiare idea. (Sigmund Freud)


Da "http://www.spacecraft-dionisio.com/cultura/arte/dali/dali.html" :


SALVATOR DALÌ
di Arial Tempest



Salvador Felipe Jacinto Dalí nacque alle 8,45 di mattina, l'11 maggio 1904, nella cittadina di Figueras, centro commerciale della piana di Ampurdán che si stende ai piedi dei contrafforti dei Pirenei, nella Catalogna settentrionale. La piana prende il nome da Ampurias, l'antico porto dei Focesi. Figueras sorge a cavallo della via Heraelea, la strada percorsa da Scipione e da Annibale, e dai mercanti attraverso i secoli.
Sulla sua nascita in quel radioso mattino di maggio, Dalí ha scritto: «Èin una mattina come questa che i greci e i fenici devono essere approdati nelle baie di Rosas e Ampurias, per preparare il letto della civiltà e le bianche lenzuola sceniche della mia nascita, ponendoli al centro della piana di Ampurdán, il tratto di paesaggio più concreto e più oggettivo che esista al mondo.» Un luogo, quindi, particolarmente adatto a un uomo che, come i suoi remoti antenati greci e fenici, ha visto tramutarsi in oro tutto ciò che le sue mani hanno toccato.
La vita di Dalí ha un parallelo nel mito di Castore e Polluce. Secondo una versione della leggenda, Castore era figlio di Tindaro e di Leda e quindi mortale, mentre Polluce era figlio di Leda sedotta da Zeus sotto le spoglie di un cigno, e quindi immortale. Quando Castore fu ucciso, Polluce fece partecipe della sua immortalità il fratellastro, passando sei mesi dell'anno nell'oltretomba, mentre Castore prendeva il suo posto sulla terra. Finchè i due fratelli vennero assunti in cielo come costellazione dei Gemelli.
Il nome Salvador era già stato dato a un fratello morto di meningite tre anni prima della nascita di Dalí, un bambino precoce dotato di grande intelligenza, scomparso a sette anni. La disperazione dei genitori trovò conforto nella nascita di un secondo figlio, ritratto vivente di Salvador. Tutta la vita di Dalí-Polluce è stata segnata dal duplice bisogno di immedesimarsi col fratello morto e al tempo stesso di liberarsi dall'impossibilità di essere qualcun altro. Da questa dualità derivava il suo esibizionismo, come bisogno di affermare la sua personalità. Il modo, che alcuni giudicano presuntuoso, in cui egli imponeva la sua superiorità e il suo genio, era un'espressione vivente di questa esigenza.
In una conferenza all'Ecole Polytechnique di Parigi, nel dicembre 1961, Dalí disse: «Tutte le mie eccentricità, tutte le mie esibizioni incoerenti sono la costante tragica della mia vita. Devo provare a me stesso che non sono il fratello morto, ma quello vivo. Come nel mito di Castore e Polluce, uccidendo mio fratello, ho conquistato l'immortalità per me stesso. »
Salvador crebbe nella cittadina di Figueras, dove suo padre, Don Salvador Dalí y Cusí, notaio della provincia, era un piccolo funzionario statale e un uomo molto stimato. Don Salvador era originario di Cadaqués, un piccolo villaggio di pescatori annidato nei colli Alberes a ventotto chilometri da Figueras dove continuava a tenere una casa di campagna, rifugio estivo della famiglia. Don Salvador era molto appassionato di canto e di pittura. Fu il primo a pubblicare le famose sardanas di José Venturas che rimise in voga le danze del folklore catalano perdute da secoli.
La Catalogna era la patria di Antonio Gaudi, la cui architettura « flamboyant » è uno dei vanti di Barcellona; ai tempi dell'adolescenza di Dalí le arti e le idee fiorivano anche nelle piccole città. Nelle sere d'estate, quando dalla passeggiata veniva il suono delle sardanas, nella casa del notaio si riunivano gli intellettuali della città per vivaci discussioni. Le personalità maggiori del circolo erano i Pitchot, ardenti difensori del movimento impressionista, che ebbero un notevole influsso nella vita di Dalí.
Figlio unico per quattro anni fino alla nascita della sorellina Ana Maria, Dalí era un bambino vivace ma difficile, adorato dai genitori, dalla nonna e dagli amici di famiglia. Benchè non fosse ricco, il padre assecondava tutti i capricci del giovane Salvador.
Il bambino non riusciva molto bene a scuola, ma il suo talento per il disegno venne presto notato da Ramon Pitchot, che indusse i familiari a fargli dare lezioni private. Essi scelsero un certo professor Nunes dell'Accademia di Disegno, che lo portava a casa sua tutte le sere. Nunes stesso era un eccellente artista, vincitore del Prix de Rome per l'incisione. Possedeva un'acquaforte originale di Rembrandt e svelò al bambino i misteri del chiaroscuro del grande pittore.
La fanciullezza di Dalí fu fuor del comune. Era un bambino solitario, con pochi amici e una precoce tendenza a gesti eccentrici e sconcertanti. A casa passava gran parte del tempo in un mondo sognante di fantasia, irreale, acuito dalla sua immaginazione sconfinata e dal suo isolamento. Non sappiamo se la sua eccentricità era innata e istintiva o in parte voluta per attirare l'attenzione; forse Dalí stesso non ne era sempre cosciente. Ma la presenza innegabile di una carica nervosa lo distingueva profondamente dagli altri suoi coetanei.
A quindici anni le stravaganze di Dalí e le sue manie esibizionistiche erano ormai evidenti. Non passava inosservato sulla passeggiata e per le strade di Figueras quando verso sera gli abitanti si riunivano sulle terrazze dei caffè per un bicchiere di Anis del Mono. Per dare più risalto a una testa di capelli che portava già molto lunghi, l'adolescente si era fatto crescere un magnifico paio di basette che gli scendevano sulle guance. Portava sempre una canna d'India; quella di allora era sormontata da un'aquila bicipite d'oro. Dalí non abbandonò mai quell'oggetto. Oggi la canna di Salvador Dalí è famosa quanto i suoi baffi ad antenna.
A diciassette anni entrò all'Accademia di Belle Arti di Madrid. Prima di esserne espulso cinque anni dopo (aveva proclamato pubblicamente di essere più intelligente dei professori che dovevano giudicare la sua abilità, e aveva rifiutato di farsi esaminare da loro) egli dipingeva in parte nella capitale e in parte a Cadaqués nella villa della sua famiglia. La casa era proprio in riva al mare e qui Dalí si arredò uno studio. Dovunque si trovasse, non sognava che di ritornare in quella casa che fin dall'infanzia amò di un amore fanatico e costante.
Dalí vagabondava per ogni sentiero e conosceva il villaggio nei più minuti particolari. Durante questo periodo egli dipinse una serie di ritratti e di paesaggi in cui Cadaqués era sempre presente, o il villaggio stesso o il suo riflesso nella luce estiva del mare inquadrato nella finestra.
Con disperato virtuosismo Dalí si diede a sperimentare e ad assimilare tutti i motivi delle ricerche pittoriche che gli Impressionisti avevano tentato. I quadri dipinti tra il 1920 e il 1922 come "Ritratto di mio padre" ed altri, con le loro grandi pennellate di colore testimoniano ancora il profondo influsso dell'Impressionismo e del Fauvismo.
Dalí seguì la scuola metafisica italiana, Giorgio de Chirico e Carlo Carrà. Ebbe una breve parentesi futurista e poi si avviò verso il Cubismo. In alcuni quadri evita completamente la prospettiva, mentre in altri se ne prende gioco deliberatamente. Ma ben presto ritornò ad un uso sempre più efficace della prospettiva come parte della sua concezione geometrica del quadro.
Una volta Dalí disse ai Surrealisti: « L'Arte deve essere commestibile. » Nei momenti di buonumore sostiene che la sua affermazione va presa alla lettera, e spiega con dovizia di particolari come anche i cibi abbiano una propria struttura, un loro proprio « significato », cercando di farci intendere che l'arte deve diventare parte di noi come il cibo; ogni impressione dev'essere assorbita e digerita. Fortunatamente, nonostante la sua fame di conoscenza abbia sempre rasentato la voracità, lo ha salvato la sua eccezionale capacità di assimilazione.
Nel 1925 era ormai considerato uno dei primi pittori catalani, e la Galleria Dalmau a Barcellona presentò con grande successo la sua prima personale. L'ambiente dei suoi quadri era ancora quello locale, ma molti cominciavano già a vedere in lui il capo dei giovani pittori della regione. In quell'anno e nel seguente il suo stile cominciò ad accusare il realismo di Vermeer van Delft.
Durante i mesi dell'Accademia a Madrid, egli si era unito a un gruppo più o meno legato al movimento dadaista.
Una profonda amicizia legò Lorca,uno del movimento dadaista, a Dalí; il poeta passava spesso settimane intere a Cadaqués. Dalí dipinse la scenografia per il dramma di Lorca" Maria Pineda" e Lorca compose la sua stupenda Ode a Salvador Dalì.
L'anno chiave della carriera artistica di Dalí è il 1927, quando egli portò a termine la sua prima opera surrealista. Questa tela fu dipinta con realismo fotografico, ma il soggetto esprime fantasticamente la sua ossessione del subcosciente. Il Surrealismo tende a esprimere ciò che è normalmente nascosto nei recessi segreti del cervello. La gente in genere impara molto presto a nascondere quanto di sconveniente o di stravagante viene a sapere; il Surrealismo dà libero sfogo alle loro idee più sfrenate. La fantasia di Dalí era una delle più fertili perchè egli le lasciò sempre la più completa libertà.
L'anno seguente, su pressione di Miró, andò a Parigi, dove si stabilì nel 1929 e dove conobbe i maggiori surrealisti del tempo. Dalí decise di consacrarsi interamente alla trascrizione delle sue visioni allucinanti, e portò anche a termine il film che aveva iniziato anni prima a Cadaqués. Il film, oggi un classico dello schermo, provocò un tumulto in sala e i più violenti attacchi della critica e del pubblico. L'atmosfera era così surriscaldata che uno spettatore lacerò con un coltello una delle tele di Dalí esposte nell'atrio del cinema.
Il film si basa su un montaggio paradossale e discordante delle immagini ed è stato spesso interpretato in chiave psicanalitica. Secondo lo storico del cinema Georges Sadoul, in quegli anni assai vicino al movimento anche se presto più legato alle scelte staliniste di Aragon, nel film non c'è allegoria ma ci sono solo immagini metaforiche che si richiamano direttamente al patrocinio già codificato dei surrealisti.
Non bisogna però dimenticare che il carattere ribelle di Dalí si era già rivelato molto prima del suo incontro con i Surrealisti di Parigi.
Da studente aveva suscitato parecchi scandali a Figueras, come quando si era abbonato al giornale comunista l'Humanité. A quel tempo si interessava ancora molto di filosofie rivoluzionarie benchè non fosse iscritto a nessun partito. Una serie di avvenimenti diede la misura del suo anticonformismo. Fu cacciato due volte dall'Accademia di Belle Arti di Madrid, e l'ordine di espulsione fu firmato la seconda volta da re Alfonso XIII. Subito dopo un discorso stravagante che Dalí tenne a Figueras, il sindaco morì di attacco cardiaco. Sospettato di attività anarchiche, passò alcune settimane in prigione a Figueras e a Gerona, la capitale della provincia. Uno dei suoi quadri fu rifiutato al Salone d'Autunno a Barcellona per il suo carattere equivoco.
Prima che facesse ritorno in Catalogna un gruppo di amici surrealisti gli promise di andarlo a trovare durante l'estate. Non appena fu a casa, ossessionato da allucinazioni, Dalí cominciò a dipingere "Gioco lugubre". Arrivati poche settimane dopo, René Magritte, sua moglie e Luis Bunuel furono turbati dagli aspetti pornografici della tela e dalla sua strana eccitazione. Anche da bambino Dalí era stato soggetto a improvvisi impulsi irrazionali, che lo portavano spesso a veri e propri vandalismi, ed era scosso da scoppi di risa che lo torcevano fino a terra.
Pochi giorni dopo arrivò Paul Eluard con sua moglie Elena, la regina del movimento surrealista, universalmente nota come Gala, « la Musa surrealista ». Dalí vide in lei l'immagine di una ragazza russa che aveva visto in una illustrazione a scuola e che aveva sempre amato fin da allora. La Gala in carne e ossa fu la sua salvatrice. Provarono una viva attrazione reciproca, e quando gli altri ripartirono Gala rimase con Dalí; gli dedicò la sua vita, e la sua pazienza prevalse sulla pazzia in agguato.
Nel novembre del 1930 la Galleria Goemans tenne la prima mostra parigina di Dalí alla quale il pittore aveva mandato opere sconcertanti come "Gioco lugubre", "Il grande masturbatore" e "Piaceri illuminati". Questa mostra fu un evento importante nella vita di Dalí perchè lo collocò pubblicamente tra i Surrealisti. Le tele, dipinte a Parigi o a Cadaqués, hanno tutte lo stesso sfondo: la piana sconfinata di Ampurdán e le rocce della Costa Brava.
Dalí e Gala erano a Parigi quando la mostra fu inaugurata ma non vi intervennero. Partirono per la luna di miele a Sitges, una località balneare vicino a Barcellona. Poche settimane dopo, Gala lasciò Dalí a Figueras e tornò a Parigi.
Il padre di Dalì, dopo la morte della moglie avvenuta pochi anni prima, aveva riversato tutto il suo affetto sui figli, e in particolare sul figlio prodigio. Ora però era seriamente crucciato dalla relazione di Dalí con Gala, dalla sua incapacità di guadagnarsi da vivere e dalle sue idee temerarie che sfidavano tutte le convenienze. Ci fu una violenta scenata che si concluse con la cacciata di Dalì dalla casa paterna. Dopo un breve soggiorno a Cadaqués, egli volse le spalle alla sua giovinezza e andò a Parigi dove Gala lo aspettava .
A quel tempo Dalí fu colpito in modo particolare dalla frase di Freud « L'eroe è l'uomo che si ribella all'autorità paterna e la domina ». Egli stava ribellandosi all'autorità di suo padre ma non era sicuro della vittoria. Il tragico in quella situazione era che Dalí era molto attaccato a suo padre e sentiva profondamente quella rottura. Quel tormento psicologico spiega la sua improvvisa partenza e più tardi la sua ossessione per la vicenda di Guglielmo Tell, simbolo di un rapporto di devozione tra padre e figlio.
Suo padre continuava a ripetere: « Vedrete, è così sprovveduto che non riesce nemmeno a mettere insieme i soldi per il cinema. Tra una settimana al massimo tornerà a Figueras, coperto di cenere, invocando il mio perdono. » E Salvador tornò: ma non coperto di cenere, bensì trionfante e coronato d'alloro. Conquistatore di suo padre, egli divenne l'Eroe.
Innamorato della sua terra calcinata dal sole, Dalí non ne voleva sapere di altri paesaggi. Doveva tornare in Catalogna il più presto possibile. Durante quest'attesa, terminò "L'uomo invisibile", la prima delle sue tele che contiene una doppia immagine. Il suo primo prottetore acconsentì a pagargli in anticipo uno dei suoi quadri. Con quel denaro Dalí e Gala partirono per la Spagna.
Volevano stabilirsi a Cadaqués ma non trovarono nessuno disposto ad affittargli o a vendergli una camera. Soltanto una persona accolse Dalì una pescatrice mezzo matta, che abitava in una piccola frazione di Port Lligat, a un quarto d'ora di strada. Aveva la fama di strega ma era sempre andata d'accordo col pittore; Dalì e Gala comperarono da lei la più miserabile casupola di pescatori dove i suoi due figli tenevano le reti e le nasse per le aragoste.
Dalí considera Port Lligat « uno dei luoghi più desolati del mondo. I mattini hanno un'aspra e selvaggia gaiezza e le sere una tristezza morbosa ». Èquesto il paesaggio che vediamo così spesso nei suoi quadri.
Col pochissimo denaro che avevano, riuscirono ad arredare la prima stanza della casa con amore e genialità; erano pochi metri quadrati e fungevano da soggiorno, sala da pranzo, studio e camera da letto. Pochi gradini portavano a una doccia e a un cucinino. Col passare degli anni comperarono le capanne vicine e le collegarono aprendo dei passaggi nelle pareti. Così si è creata la loro casa che Dalí chiamava la sua prigione spirituale.
In questo rifugio, il pittore, protetto da Gala, viveva e lavorava circondato dai pescatori tutti contagiati dalla pazzia. La regione di Ampurdán ha prodotto molti di questi tipi mattoidi, rovinati dalla povertà e dalla violenza della loro vita disordinata. Essi fornirono a Dalí gli elementi allucinanti più consoni al suo Surrealismo.
Nella stessa spiaggia è ambientato "Teschio atmosferico" che sodomizza un pianoforte a coda. La posizione della barca, il muro di pietre dove alcune figure prendono gli ultimi raggi del sole e persino i ciottoli del terreno riproducono fedelmente il tratto di spiaggia davanti alla casa di Dalí. Questa visione del teschio e del pianoforte venne all'artista nei momenti crepuscolari tra il sonno e la veglia, ma mentre lo sfondo di queste allucinazioni è di solito vago, l'ambiente è qui riprodotto con estrema concretezza e precisione. Le ombre proiettate sulla spaggia erano per Dalí una specie di meridiana che ogni giorno gli indicava l'ora esatta per continuare il lavoro.
Poichè la sua luce ha la stessa qualità di quella della Fiandra, Dalí ha sempre collegato la silenziosa baia di Port Lligat al tragico verso di Edoardo Marquina « In Fiandra è tramontato il sole », allusione a Carlo V che in Fiandra aveva visto il sole dell'Impero prossimo al tramonto.
"Paesaggio di Port Lligat" rende l'atmosfera di solitudine e di malinconia evocata dai versi di Marquina.
Dalí e Gala hanno ricevuto molti visitatori nel loro ritiro, fra cui personaggi celebri. I visitatori erano rallegrati dalla musica delle sardanas suonate dall'orchestra di Cadaqués e dai pescatori musici. I suonatori si mettevano davanti a una vecchia casa di fronte allo studio di Dalì.
Nel suo rifugio di Port Lligat, Dalí seguiva un rigoroso orario di lavoro. Durante il giorno soltanto Gala e uno o due amici intimi osavano entrare nello studio per interrompere un attimo il suo lavoro. Altrimenti Dalí non si faceva vedere finchè le ombre del crepuscolo gli impedivano di dipingere.
Nelle mattine di sole, mentre egli lavorava, Gala usciva con una barca per disporre nasse per le aragoste e ritirare le reti. A mezzogiorno Dalí aspettava il suo ritorno sulla terrazza e, mentre prendeva il sole, si divertiva ad ascoltare le voci dei pescatori che litigavano fra di loro sul molo sciorinando una ricca collezione di insulti e di epiteti.
Alla colazione seguiva l'inevitabile siesta, una tradizione del Mezzogiorno europeo. Questa pausa non era tempo perduto per Dalí; spesso mentre sognava egli risolveva problemi di estetica. Il resto del pomeriggio lo passava di nuovo nel suo studio a dipingere, e spesso Gala gli leggeva qualcosa. Poi insieme esaminavano e commentavano il lavoro della giornata.
La domenica mattina era di rito la passeggiata tra gli scogli di Cap Creus in tratti raggiungibili soltanto via mare. Gala e Dalí possedevano tre barche, Gala I, Gala II e Gala III. Tutt'e tre dipinte in giallo e nero, e compaiono spesso nei quadri di Dalí. Oltre che per visitare posti reconditi le barche servivano per trasportare combustibile e cibo alla casa isolata. Benchè un viottolo colleghi Port Lligat con Cadaqués, Dalí e Gala preferivano di solito raggiungere il porticciolo per mare.
Dalí non trascurava mai di salutare Gala alla partenza e di accoglierla all'arrivo, anche quando la sua assenza era di breve durata.
Cap Creus è sempre stato una pietra miliare della navigazione mediterranea ed è anche il punto d'incontro dei venti catalani, così numerosi che ognuno ha il proprio nome. Questa regione grandiosa e caotica ha fortemente influito sulla concezione estetica daliniana del molle e del duro; egli ha sempre sentito acutamente la diversa struttura dei due tipi di roccia: una durissima e resistente, l'altra molle e soggetta all'erosione. E Dalí stesso a volte tesseva le proprie variazioni su un paesaggio già confuso e sconvolto.
Per capire l'opera di Dalí bisogna seguire il meccanismo particolare del suo processo mentale e il modo in cui esso riusciva a rendere coerenti gli accostamenti più improbabili. Il suo ben noto « metodo paranoico-critico » (che egli descrive così: «Metodo spontaneo di conoscenza irrazionale basato sull'associazione critico-interpretativa dei fenomeni deliranti ») gli permetteva di dominare e di rendere sistematiche certe forme di pazzia attraverso la pittura. Come egli ha detto: « La differenza tra un pazzo e me è che io non sono pazzo. »
Questa frase non è una battuta. Significa che egli aveva in comune con alcuni pazzi una tendenza ad allucinazioni, visioni ed ossessioni, ma a differenza dei pazzi era pienamente consapevole del confine che separa il mondo reale dall'immaginario. Ed a differenza di un pazzo, sapeva dominarsi con un'intensa ginnastica mentale, e teneva in pugno i tumulti del suo spirito e della sua vita finchè poteva liberarsene sulla tela o con qualche gesto esibizionista.
Durante la lavorazione di uno dei suoi film Dalì incominciò a manifestare nuove ossessioni. Una di queste si manifestò nel 1950, quando Dalí cominciò a interessarsi di scienza nucleare. Era affascinato dal movimento delle particelle di materia che secondo lui si organizzavano in una « spirale logaritmica » simile alla nebulosa di Andromeda. Nel l954 questo interesse si cristallizzò sulla "Merlettaia" di Vermeer. Sotto la placida superficie del dipinto Dalí scoprì una « sintesi cosmica », una violenza inquietante tenuta a freno dal rigore della costruzione. Decise di andare al Louvre a dipingere un'interpretazione dell'opera di Vermeer. Ma una volta di fronte all'originale dipinse invece tre croste di pane! Dalì non spiegò mai perchè, ma si può dedurre che ciò che voleva esprimere nel suo quadro non era ancora abbastanza chiaro nella sua mente da poter essere fissato sulla tela.
Verso l'inizio dell'estate, al suo ritorno a Port Lligat, Dalí visse circondato da tutti gli elementi della sua ossessione. Gala posò per lui con un corno in mano. La casa era piena di riproduzioni della Merlettaia e Dalí ne trascinò una persino nell'uliveto. Continuava a « ruminare il problema », secondo la sua espressione.
Per tutta la vita Dalí è stato affascinato da oggetti che assomigliano a qualcosa che non sono. Quando era piccolo sua madre lo portava alla « Playa Confitera » (la spiaggia che deve il suo nome ai ciottoli della riva che erano dvvero una perfetta imitazione delle mandorle rivestite di zucchero che chiamano confetti). Raccoglievano i sassi più regolari per portarli a casa.
« Questa è la mia scoperta di Vermeer, » egli disse; secondo lui i ciottoli avevano la stessa grana delle superfici dei quadri di Vermeer.
Le pietre che imitano confetti appaiono in molti dipinti di. Più « il mondo non è quello che sembra essere » più piaceva a Dalí.
Come i ciottoli della Playa Confitera le rocce di Cap Creus hanno un'ossessionante somiglianza con le cose che esse non sono, una caratteristica sentita anche dagli abitanti della regione oltre che da Dalí. Ogni roccia nella zona ha un suo nome. C'è uno scoglio sgretolato che sembra aver ispirato l'inquietante figura di "Persistenza della memoria" (Orologi Molli).
Dalì spiegò il significato degli orologi molli paragonandoli alle sogliole, cibo principale dei pescicani. In una conferenza tenuta al Museum of Modern Art a New York disse: «La molle, masochistica sogliola si appiattisce come una busta infilata in una cassetta delle lettere, per scivolare più facilmente giù nella gola del sadico pescecane. Ho sempre pensato agli orologi molli come a oggetti masochistici, destinati come sono ad essere ingoiati dai pescecani del tempo meccanico. » La figura del "Grande Masturbatore" riflette l'angosciosa paura della pazzia che afferrava il pittore in quel periodo (1931). E rappresenta anche una specie di doppia immagine. Assomiglia a un embrione umano che racchiude un paradosso. Contiene ogni tipo di forma e di abilità che l'adulto possiederà alla fine, ma queste qualità non sono ancora realizzate e visibili. L'embrione non assomiglia neppure lontanamente a ciò che finirà per diventare. Dunque è uomo o non lo è?
Il Grande Masturbatore, probabilmente la più insana delle sue opere, contiene tutta l'angoscia e le correnti sotterranee in agguato che minacciavano di volgersi contro Dalí. Qualcosa lo spinse a immettervi tutti gli elementi molli che riflettono la sua agonia e a concentrarli in un foruncolo sul collo. Un passaggio nella poesia La Femme Visible di Dalí accenna al quadro:
«Malgrado l'oscurità regnante la sera era poco avanzata al bordo dei grandi scaloni d'agata dove affranto dalla luce del giorno che dura dal levar del sole il grande masturbatore l'immenso naso posato sul pavimento d'onice le enormi palpebre chiuse la fronte rósa da orribili rughe il collo gonfiato dal celebre foruncolo brulicante di formiche giace immoto confitto in quest'ora della sera ancora troppo luminosa mentre la membrana che copre interamente la bocca si indurisce sotto l'agonia dell'enorme locusta aggrappata e incollata ad essa da cinque giorni e cinque notti.»
L'angoscia dileguò lasciando solo inquietudine. Così lo spirito di Dalí uscì dalla follia e dal disordine in cui era quasi affogato, ed egli riprese il lavoro nel suo rifugio di Port Lligat, sorvegliato da Gala. Le figure nel grande quadro "Il Concilio Ecumenico" sono ambientate in un paesaggio composto di centinaia di minuscole pennellate « corpuscolari ». La disposizione dei prelati tra le rocce richiama quella degli arcivescovi e della città di "Roma nell'Age d'or", un altro film che Dalí fece in collaborazione con Bunuel. Sia che si esprima come pittore, poeta o scenografo, Dalí associa sempre la religione col paesaggio della sua terra natale.
Il paesaggio di Cap Creus è di nuovo adombrato nello sfondo del suo dipinto "Scoperta dell'America" da parte di Cristoforo Colombo. Le formazioni geologiche dipinte sopra "l'Immacolata Concezione" risultano da una moltitudine di piccole pennellate che assomigliano a puntine da disegno o a caratteri cuneiformi. Questa tela raffigura San Narciso, il santo patrono della provincia di Dalí, che dà il benvenuto a Colombo sulle spiagge d'America. Dalí accoglie la tesi del dottor Ulloa di Figueras secondo cui Colombo era un ebreo catalano di nome Cristofol Colom, un visionario infiammato dalle idee dell'alchimista Raimondo Lullo, pure catalano di Maiorca. Non potendo presentarsi ai re cattolici sotto il suo vero nome, egli affermò di essere Cristóbal Colon di Genova, ed ottenne così i mezzi per intraprendere la fortunata spedizione ritratta in questo quadro.
"Cielo iperxiologico" è una sintesi delle caratteristiche di tutti i periodi di Dalí: gli elementi molli, i segni cuneiformi e gli oggetti reali appiccicati alle tele. Come nei quadri dell'adolescenza aveva incorporato pezzi di sughero, ciottoli, corde e piume, a questa tela appiccicò chiodi e denti d'oro. Ma mentre nelle opere precedenti erano elementi estranei, qui gli oggetti si mimetizzano così a fondo con quelli dipinti che non è possibile distinguerli se non sotto una luce radente.
Nel 1956 a Dalí venne affidato l'incarico, da un editore di Parigi, di illustrare un'edizione numerata del Don Chisciotte. Dalí passo due estati a incidere le pietre litografiche che furono maltrattate in tutti i modi, schiacciate, stritolate, infrante, bombardate con fionde, balestre e fucili subacquei. Le munizioni consistevano in lumache, piovre, ghiaia, piccoli rospi e altri oggetti vivi e morti, che venivano poi coperti di inchiostro denso. Le macchie risultanti servirono all'artista per uno stile che egli definì « realismo per mezzo di macchie quantificate ». Allo scopo di perfezionare questa tecnica e di arricchire il suo armamentario, l'anno dopo ritornò dall'America con un'enorme pistola ad aria compressa usata dai cacciatori per catturare viva la preda.
La pistola era a pallottole narcotizzanti, ma Dalí le sostituì con cartucce riempite di inchiostro di China, fatte apposta per lui, che spruzzavano inchiostro a caso su grandi fogli di carta. Impiegò giornate intere a costruire bersagli, e il suo studio, l'uliveto e la terrazza divennero poligoni di tiro. Egli chiamò questo nuovo metodo di ricerca pittorica «proiettismo ». Ma nonostante la potenza dell'arma, Dalí non era soddisfatto; quando si accinse a illustrare l'Apocalisse di San Giovanni ne cercò una ancor più rivoluzionaria.
La trovò in un posto inaspettato. Quell'estate, tra la casa e una piccola rotonda di pietra, era stato appena tracciato un viottolo che serpeggiava sulla scogliera sovrastante la baia, battezzato « La Via Lattea » perchè lastricato di pietra bianca. Gala aveva piantato sulle terrazze che si affacciavano sul sentiero lavanda, mughetti e gigli, e sui bordi stava disponendo dei melograni. Quando ebbe finito di piantarli chiamò Dalí ad ammirare l'effetto. Egli osservò gli arbusti, poi disse tutto eccitato: « Galuschka, devo proprio ringraziarti. Questi melograni mi suggeriscono la soluzione che cercavo per le illustrazioni dell'Apocalisse di San Giovanni. Imitando una melagrana matura che esplode, farò esplodere una bomba sulle lastre di rame. »
E immediatamente mandò a chiamare André Susse, nella cui fonderia sono state gettate gran parte delle statue moderne, e gli ordinò una serie di bombe piene di chiodi. E quando ormai i melograni di Gala portavano i primi frutti, Dalí avvolto in una giacca luccicante di Coco Chanel, sotto la sorveglianza di un pirotecnico, fece esplodere le sue bombe nei burroni di Port Lligat. I risultati - lastre di rame contorte e sforacchiate, irte di chiodi - furono consegnati all'editore che passò le lastre ad una nota ditta di incisori in rame di Parigi. Gli incisori non avevano mai visto rottami simili, e tanto meno si erano sentiti chiedere di ricavarne degli stamponi. Sembrava impossibile mettere nelle presse quel metallo tutto a spuntoni; ma avevano già lavorato per Dalí ed erano abituati alle sorprese. Nel 1938 Dalí e Picasso erano andati ogni giorno a incidere a turno una serie di lastre, continuando uno il lavoro dell'altro.
Dopo alcuni tentativi gli incisori riuscirono a ricavare i primi stamponi. I segni dei chiodi e le perforazioni nel rame davano la sensazione di violenti tratti di bulino. Una splendida incisione fu tirata su una grande pergamena. Dali lavorò sullo stampone ad acquerello ottenendone la sua "Pietà dell'Apocalisse di San Giovanni" con i margini miniati.
Le trovate estrose dello spirito esuberante di Dalí, insieme alla sua genialità e ai suoi virtuosismi, spesso trascendono i mezzi che la tradizione offre agli artisti per esprimersi. La sua attività artistica si è estrinsecata sui più strani e bizzarri materiali, come cartoline, fotografie, stampe e opuscoli pubblicitari.
L'energia creativa di Dalí ha investito persino oggetti comuni, come le sedie che il pittore disegnava sempre in modo che nessuno possa sedervisi. La sua ossessione per le sedie risale al periodo surrealista quando insieme allo scultore Giacometti inventò « oggetti surrealisti con funzioni simboliche »: una delle loro più famose creazioni fu una « sedia atmosferica » . Questo oggetto assurdo aveva una maniglia avvitata all'estremità di una gamba, motivo principale del suo equilibrio instabile. La maniglia poggiava su un bicchiere di birra e il sedile era fatto di tavolette di cioccolata.
Uno degli oggetti-sedia preferiti da Dalí fu quello che disegnò nel 1937 e che chiamò «Macchina pensante ».
Nel centro c'è una sedia di cannetta; sullo schienale che porta dei cartellini è appeso un cesto o « borsa selettiva ». Da questo cesto pendono fino a terra cordicelle fissate mediante spilli a rettangoli di carta. I cartellini dello schienale recano una serie di numeri che corrispondono a specifiche funzioni: immagine reale, fosfeni, immagine interpretativa, immagine doppia, ecc. A sinistra della sedia è il profilo di un uomo barbuto il cui cervello, occhi e bocca sono collegati da fili a un'altra borsa selettiva che riempie una grossa penna.
Nonostante la sua inutilità, quest'oggetto irrazionale precorse diversi aspetti della moderna macchina pensante, dodici anni prima che gli scienziati ponessero le basi della nuova scienza della cibernetica con i relé, gli intrichi di fili e le schede perforate.
La sua ossessione per le sedie lo spinse a dipingere "Lo spettro di Vermeer van Delft". La concezione originale era di dipingere uno spettro che servisse da sedia, ma l'idea che la coscia di Vermeer reggesse una bottiglia e un bicchiere di vino era così stupendamente illogica anche per Dalí che decise di realizzarla. Eppure il titolo del quadro non è mai stato di sua completa soddisfazione.
Dalí trasformò le sedie rustiche della sua casa e del giardino ornandole di grosse radici calcinate che Gala raccoglieva sulla spiaggia, completò la decorazione con una conchiglia di pettine, una stella marina, o con ali di avvoltoio che incorniciano l'espressione enigmatica di Gala, e coronano una sedia inservibile ornata di grossi cucchiai in legno di ulivo.
Non soltanto Dalí, naturalmente, era attratto da questo genere di oggetti, che erano sparsi per tutta la Catalogna; essi erano fonte inesauribile di ispirazione anche per gli altri artisti catalani.
Gala lottava contro queste stravaganze e proteggeva i libri e gli schizzi di Dalí dal suo fenomenale disordine. Lasciato a se stesso, il pittore non sarebbe riuscito a trovare la notizia che cercava o la riproduzione che gli occorreva. E mentre sognava e lavorava a suo agio in una casa linda e ordinata, Gala continuava ad abbellire e a sistemare le stanze con gusto semplice e sicuro, riserbando sufficiente spazio alle pazze idee di Dalí.
Un'altra ossessione di Dalí era lo specchio deformante alla parete della camera da letto, che rifletteva tutta la stanza. Il paravento bianco sullo sfondo era stato decorato da Dalí e mostra Gala nuda sulla prua a spirale di una barca; su un altro riquadro è rappresentato il pittore sulla barca con il pennello in mano.
L'ossessione degli specchi venne a Dalí mentre studiava le opere di Giambattista della Porta, l'astrologo napoletano vissuto nel XVI secolo e inventore della « camera oscura », antenata della macchina fotografica attuale, che passò la sua vita nella vana ricerca dello « specchio magico » e che scrisse parecchi trattati sulle trasformazioni e aberrazioni ottiche, il più noto dei quali è la "Magia naturale".
Siano deformanti o normali, gli specchi appagavano il desiderio di Dalí di vedere quello che non può essere visto.
Nella sua casa gli specchi avevano la stessa funzione delle piccole finestre in uso nelle regioni mediterranee. Come queste, gli specchi inquadravano una superficie molto limitata costringendo l'occhio a soffermarsi su ogni minimo particolare, producendo un effetto di acutezza e di immediatezza che non si ottiene mai con i finestroni panoramici avidi di orizzonti dell'architettura funzionale.
La posizione di ogni specchio nella casa era accuratamente calcolata, Dalì, quando voleva dipingere un gruppo di oggetti di una stanza, cercava di combinarli in maniera così strana e inaspettata che sarebbe impossibile riconoscerli anche se resi con perfetto realismo. Egli sosteneva la superiorità del pittore super-realista, capace di rendere le sfumature più delicate della trama e della luce, sul pittore astratto. Il super-realista può dipingere un'astrazione applicando la sua tecnica, mentre il pittore astratto non può dipingere in modo realistico senza negarla.
Per Dalí, Gala era donna incarnata, dotata di mistici poteri, i cui occhi vedono attraverso i muri. Gala appare spesso in primo piano nei quadri di Dalí. Il suo sguardo acuto e enigmatico accentua la sua immobilità e l'impressione di fissità che ci dà il quadro.
Gala era la compagna, l'ispiratrice, la modella e la regina della cosmogonia di Dalí. Egli la includeva sempre nella sua opera, firmava molti dei suoi quadri « Gala-Dalí », la cantava nelle sue poesie e le dedicava tutti i suoi scritti. La loro unione aveva una qualità mistica, fuori del tempo, che ricorda le leggendarie storie d'amore del passato. Per Gala Dalí dipinse la figura di Cristo su un ciottolo levigato dal mare.
La figura femminile nei suoi quadri è sempre la raffigurazione della moglie Gala; Dalì scrisse al riguardo: « La nobiltà può venire ispirata solo dall'essere umano. Le creature più nobili sono state dipinte da Velàsquez e Zurbaràn. Io mi avvicino alla nobiltà solo dipingendo Gala. »
La costruzione di oggetti surrealisti era più di una semplice distrazione per Dalí, era un mezzo per esprimere, come attraverso i quadri e gli scritti, la sua ossessione dell'irrazionale. André Breton ha scritto: « Dalí ha dotato il Surrealismo di uno strumento d'eccezione, il metodo paranoico-critico che può essere applicato alla pittura come alla poesia, al cinema, alla costruzione di tipici oggetti surrealisti, alla moda, alla scultura, alla storia dell'arte, e se necessario, persino a ogni genere di esegesi. »
Uno di questi oggetti contribuì allo scioglimento definitivo del gruppo surrealista di Parigi: un'altra macchina pensante costituita da una poltrona coperta da un gran numero di calici di latte caldo. Quando Dalí propose di realizzare questa « macchina »,un poeta gridò indignato: « Basta con le eccentricità di Dalí. Il latte caldo diamolo ai bambini dei disoccupati. »
Molte delle invenzioni apparentemente più assurde di Dalí hanno dimostrato a un esame più attento di possedere una logica intrinseca e un solido fondamento psicologico. Ad esempio, gli oggetti che Dalí fece perchè fossero scagliati e frantumati contro una liscia superficie di marmo ispirarono i diavoletti di gesso così popolari in America anni fa. Per allentare la tensione nervosa e per sfogare la collera essi venivano scagliati contro le pareti e gettati per terra. Un critico d'arte francese ha scritto: « In un'epoca in cui non si sta a sottilizzare sulla qualità e l'autenticità di pseudorivelazioni che alla fine si assomigliano tutte, il genio di Dalí trascende per le sue stesse dimensioni lo spazio e il tempo. »
Un altro esempio del virtuosismo e dell'ingegnosità di Dalí è la rappresentazione di un elefante surrealista che è composto da una conchiglia di nautilo, il corpo è d'ambra incrostato di pietre di luna, le zanne sono le antenne di un'aragosta, la spina dorsale e le zampe sono ossicini di uccelli. Un piccolo cornac di cera sta a cavalcioni della conchiglia. La costruzione poggia su un frammento di roccia di Cap Creus.
Ogni stanza della casa Dali aveva qualche oggetto che rivestiva un significato particolare nella sua vita .
L'enorme orso del Canada, tinto in viola e adorno di collane multicolori , che riceveva nell'anticamera della casa offerte di canne d'India e di ombrelli gli fu donato da Edward James, uno dei più grandi collezionisti di Dalí, e arrivò avvolto in dieci strati di cellofane di colori diversi. Èfacile immaginare il suo eccitamento e la sua gioia nello svolgere i luccicanti strati dell'involucro.
La Sala della Chiocciola deriva il suo nome da una chiocciola posta su un tavolino in legno d'ulivo al centro della stanza. Tiffany di New York l'ha trasformata in lampada e orologio. Lo specchio incorniciato di nero che Dalí sistemò in una posizione poco opportuna, serviva al pittore per vedervi riflessi dalla sua camera da letto, mentre prende la colazione, i cigni nella baia di Port Lligat al levar del sole. Sormontava lo specchio non un ambiguo oggetto surrealista ma un modello in gesso di un chicco di grano usato nelle scuole, che aveva colpito la fantasia di Dalí.
La stanza dalle pareti a calce dove Dalí lavorava conteneva a volte alcuni oggetti bizzarri che lo ispiravano nella sua ricerca, ma che venivano allontanati quando hanno esaurito il loro compito.
In questa stanza pulita Dalí, circondato dalle tele a cui lavorava, passava dall'una all'altra, e dipingeva senza posa. Per la verità egli riusciva a dipingere quasi dappertutto; molti dei suoi quadri surrealisti furono eseguiti senza cavalletto, con la tela appoggiata a una sedia in una stanza d'albergo, sugli scogli di Cap Creus, e persino fra la neve, nel giardino di una casa di amici in America.
Tutta la pittura di Dalí è basata su una ricerca che rivela la sua esigenza di costringere la fantasia e la tecnica in regole ben precise. Mentre dipingeva Leda atomica nel 1948, Dalí prese a studiare la teoria della divina proporzione esposta da Fra Luca Pacioli nel quindicesimo secolo, e ad applicarla alla sua pittura. Con l'aiuto di un noto matematico, il principe Matila Ghita, Dalí lavorò per tre mesi all'esatta collocazione degli elementi di Leda atomica costruendo il quadro attorno a Gala che posava come Leda.
Poco dopo Dalí scoprì nella Nova Geometria di Raimondo Lullo il quadrato perfetto dell'estetica chiamato « Figura Magistralis ». Influenzato da questa teoria geometrica Juan de Herrera, il famoso architetto dell'Escurial, aveva scritto i Discorsi sulla forma cubica. Parecchi quadri di Dali sono basati su queste opere, come Corpus Hypercubus al Metropolitan Museum of Art di New York.
Naturalmente Dalí, come tutti i grandi artisti, piegava i canoni dell'estetica alle esigenze della sua espressione, appartenessero essi all'antichità, al Medioevo o al Rinascimento. E mentre ogni quadro era minuziosamente studiato e si basa sui risultati delle sue ultime ricerche e sul suo senso innato della proporzione, l'ispirazione originaria poteva essere frutto di un caso fortuito. Ad esempio, mentre era ossessionato dalla Battaglia di Tetuan del pittore catalano Mariano Fortuny, trovò in una pagina di una rivista l'elemento centrale della tela che voleva dipingere sullo stesso argomento. Una sera d'inverno a New York scorse una copia della rivista che giaceva nella neve, calpestata e spiegazzata. Intravvide la fotografia di una fantasia araba e la raccolse esclamando: « Ecco la mia Battaglia di Tealan. » I suoi quadri erano dunque una combinazione di ricerca meditata, di puro caso e di istinto, il tutto nascosto sotto l'ineffabile tocco del genio che li trasformava in opere d'arte.
Dalí ideò il Cigno di Leda apposta per Gala. Il gioiello fu eseguito nel 1959 dall'orefice newyorkese Carlos Alemany che ha tradotto in oro, argento e pietre preziose molti temi di Dalí e che espose nel 1949 una magnifica collezione di questi gioielli. Dalí ne ha disegnati di tre tipi: surrealisti, sacri e meccanici. Il gioiello surrealista più famoso è forse L'occhio del tempo realizzato in diamanti e rubini, in cui la pupilla dell'occhio è il quadrante di un orologio smaltato. Nella serie sacra è celebre La Luce di Cristo. Seicento brillanti creano un'esplosione scintillante intorno a una croce d'oro, delicatamente cesellata per rendere con sorprendente realismo le vene del legno. Dalí ha prodotto un solo gioiello meccanico, Il cuore reale, un cuore composto di sessanta rubini e a sua volta incastonato in un cuore d'oro. Un minuscolo congegno elettrico, dissimulato nella base, fa battere il piccolo cuore di rubini settantadue volte al minuto.
Dalí sapeva meglio di chiunque altro rivelare e captare le nuove tendenze estetiche, scientifiche, ideologiche o politiche, per arricchire le sue precedenti scoperte, sia utilizzandole così come erano - e allora si limitava a trasferirle secondo il processo inaugurato da Marcel Duchamp con i suoi ready-made - sia assorbendole per integrarle nelle sue creazioni. Egli indagava - fenomeno notevole - al di là del pop, dell'op e dell'arte minimale; e sono appunto queste sue ricerche che, insieme al personaggio Dalí, affascinavano una gioventù bramosa di autentico e di meraviglioso. L'autentico e il meraviglioso che Dalí offriva ai giovani non è né confortevole né romantico, tutt'altro! Ma egli aveva il grandissimo merito di mantenere una visione dell'uomo nella quale le funzioni dello spirito assicurano il trionfo e la salvezza dell'individuo. L'apologia dell'intelligenza: era questa la nota dominante in Dali. Trovandosi a Parigi nel 1968 durante le agitazioni di maggio, egli scriveva nella "Mia rivoluzione culturale":
« La cultura borghese non può essere rimpiazzata che verticalmente. Per disimborghesire la cultura occorre deproletarizzare la società ed elevare le funzioni dello spirito riportandole verso la loro origine divina, trascendente e legittima. Avremo così un'aristocrazia dello spirito. L'uomo-re non può ammettere che principi dello spirito nella propria corte. »
Sarebbe impossibile, oggi, svolgere un'indagine retrospettiva che permetta di fondare un valido giudizio critico sulle opere artistiche e letterarie dell'ultimo ventennio di Dalí. Esse sono troppo numerose e diverse ed è difficile cogliere la maturazione dei temi che le animano perché questa non si sviluppa sempre in modo costante né sullo stesso fronte. Per riassumere le attività daliniane tra il 1962 e il 1972 il miglior modo è quello di fare il punto delle opere, degli scritti e degli avvenimenti che ne risultano. Secondo lo stesso artista, le sue attività più appassionanti e più determinanti nel corso degli ultimi anni erano:
  • i suoi dipinti di grande formato;
  • la sua scoperta degli «intenti stereoscopici » del pittore olandese Gérard Dou (1613-1675);
  • le sue ricerche sulle lenti di Fresnel e la sua prima pittura stereoscopica;
  • infine, la produzione di opere che utilizzano una delle più recenti scoperte della fisica: l'olografia.
Ma due sono le maggiori ossessioni che hanno guidato tutte le attività di Dalí durante questo periodo: la sua ricerca appassionata per esprimersi nello spazio, in tre dimensioni, e quella per assicurare l'immortalità delle sue idee e della sua opera di pittore.
La pittura di grande formato è una parte del campo di esperienza in cui Dalí prendeva la misura delle sue scoperte. Se egli utilizzava ancora la tecnica crepuscolare, lo faceva con un intento del tutto differente da quello manifestato nei dipinti degli anni 1951-52.
Ma Dalí non si interessò per molto tempo a questo genere di pittura, o piuttosto se ne interessò sotto un'altra forma: la pittura monumentale. Può sembrare paradossale che mentre egli ritornava, per i dipinti di cavalletto, alle piccole dimensioni e li eseguiva su rame (come certe opere giovanili e dell'epoca surrealista), al tempo stesso si dedicava a tre soffitti: il primo nel 1969, L'ora regia, per il palazzo Alleus di Barcellona; il secondo nel 1970 per il castello di Gala a Pubol; e infine quello per il Museo Dalí di Figueras. A proposito di quest'ultimo, egli aveva dichiarato: « Io verso, come Danae, l'oro che ho guadagnato sulla testa dei miei concittadini. »
Dalí è sempre stato affascinato dall'ottica in generale e da tutte le sue applicazioni suscettibili di creare l'illusione del rilievo. Prima della scoperta del laser e delle sue applicazioni nell'olografia, la visione stereoscopica era quella che più si avvicinava al suo scopo. Èlogico che, mentre egli mirava a conquistare la terza dimensione per la sua pittura, tutti gli effetti del rilievo assumevano ai suoi occhi un'importanza capitale. La prima tappa in questa direzione risale al 1964 quando Dalí porta da New York dei pannelli di plastica composti di sottili reticoli sovrapposti che riproducono il rilievo.
Questo « moiré », simile agli occhi d'un insetto, sarà all'origine di alcuni dipinti eseguiti su tale tipo di supporto. Nel 1970 Dalí si reca al Museo del Louvre per rivedere e studiare l'opera di Gérard Dou, un pittore di vita familiare e campestre, contemporaneo di Vermeer. In seguito a questa visita va in cerca degli altri quadri dell'artista e scopre che Dou ha dipinto sei tele stereoscopiche, vale a dire doppie.
Subito dopo questa scoperta comincia a creare immagini stereoscopiche riflesse per mezzo di specchi collocati a 60°. Valendosi di questo procedimento, dipinge due quadretti doppi. Allo stesso modo incide due lastre - la prima stampa stereoscopica - per il suo libro Dieci ricette d'immortalità. Nel tempo stesso cerca, per mezzo delle lenti di Fresnel, di semplificare il procedimento per rendere il quadro visibile in rilievo contemporaneamente da più persone. Nella scoperta della spirale dell'acido desossiribonucleico, per opera di Crick e Watson, Dalí aveva trovato una conferma del suo quadro Persistenza della memoria.
Quando il fisico americano Dennis Gabor riceve nel 1971 il premio Nobel per la scoperta dell'olografia, Dalí vede in questa invenzione il modo migliore per progredire nel suo intento di creare nello spazio, e probabilmente anche quella Via regia dell'immortalità dello spirito e delle immagini che desiderava tanto raggiungere. All'inizio del 1972, aiutato dai consigli di Dennis Gabor, prepara tre composizioni che saranno esposte a New York nella Galleria Knoedler. Nell'introduzione che egli stesso scrive per il catalogo, così precisa il valore che l'olografia rappresenta per un artista:
« La realtà tridimensionale ha interessato tutti gli artisti da Velázquez in poi, e il cubismo analitico di Picasso nell'epoca moderna si è sforzato di catturare le tre dimensioni di Velázquez. Ora, grazie al genio di Gabor, si rende possibile una rinascenza artistica e si aprono dinanzi a me le porte di un nuovo campo di creazione. »
Le opinioni su Dalì sono contrastanti: un abile mestierante, un manipolatore di idee altrui secondo i detrattori; o un genio, uno dei maggiori surrealisti, secondo gli ammiratori. Né ha giovato a renderlo accetto a tutti l'istrionismo e l'esibizionismo negli abiti e nel comportamento.
Va osservato tuttavia che, per quanto riguarda le fonti culturali, ciò che conta non è tanto la loro catalogazione quanto il risultato raggiunto sul piano artistico. Che poi è ciò che interessa, indipendentemente da ogni atteggiamento personale. Dalì, in altri termini, deve essere giudicato, come ogni altro artista, obiettivamente, entro il proprio contesto storico. Ci renderemo conto allora che, pur sfiorando spesso il virtuosismo accademico e quindi riuscendo raramente a trasmettere la comunicazione, c'è in lui qualcosa di più di quanto non sia un semplice gioco meccanico di immagini. C'è, soprattutto, un autentico surrealismo, ossia trascrizione poetica della realtà interiore quale appare liberandosi non soltanto da quella esteriore, ma, soprattutto, dai condizionamenti della ragione.
Quale sia il suo procedimento per raggiungere l'automatismo lo spiega lui stesso; ed è una affermazione che vale forse anche per ogni altro artista della stessa tendenza: "Al levare del sole...mi sedevo davanti al cavalletto piazzato davanti al letto... La prima immagine del mattino era quella dalla tela che sarebbe stata anche l'ultima immagine che avrei visto prima di andare a letto. Cercavo di addormentarmi fissandola... e a volte mi alzavo nel mezzo della notte per guardarla un attimo al chiaro di luna. O meglio... accendevo la luce per osservare quest'opera che non mi abbandonava mai. Durante l'intera giornata, seduto davanti al cavalletto, fissavo la tela come un medium per vederne sorgere gli elementi della mia immaginazione. Quando le immagini si collocavano esattamente nel quadro le dipingevo immediatamente, a caldo. Ma, a volte, dovevo aspettare delle ore e restare in ozio con il pennello immobile in mano prima di vedere nascere qualcosa".
Salvador Felipe Jacinto Dalí morì il 23 gennaio del 1989 (orario del decesso non reperibile) nell'ospedale, dove era stato ricoverato, di Figueras all'età di 85 anni; fu una grave perdita per il mondo specialmente nel campo artistico.

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