Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

giovedì 14 novembre 2013

Edgar Morin - Ernesto Riva


Le sue idee-chiave

1.                          Un metodo non è valido se non include la complessità. Abbiamo bisogno di un metodo che ci aiuti a pensare la complessità del reale, invece di dissolverla e di mutilare la realtà.

2.                         Questo metodo deve fornire i principi operativi per pensare autonomamente. Metodo significa infatti “via”, “cammino”.

3.                         Non si tratta tanto di un programma (un insieme di ricette) ma di una strategia (cioè di una azione che si adatta a seconda della retroazione della realtà). Non vi sono delle risposte già pronte.

4.                         Abbiamo bisogno di una nuova mentalità: Il modo di vedere le cose è più importante del cambiamento delle idee. La nuova mentalità ci conduce a vivere nel pericolo, nel rischio, nel caso, e ci fa abbandonare la pseudo-sicurezza di un programma.

5.                          La semplificazione è il male: dobbiamo pensare che il semplice e il complesso sono legati; c’è voluta una favolosa complessità di interazioni biologiche e sociali per arrivare a un semplice sorriso.

6.                         La conoscenza illumina ed oscura nello stesso tempo. La nostra conoscenza progredisce nello stesso tempo della nostra ignoranza. D’ora in poi la conoscenza deve lavorare a fianco dell’ignoranza

7.                          L’innato e l’acquisito si oppongono ma ugualmente si associano. Non siamo una cera molle: si sa come sorridere ma si apprende dai genitori un certo modo di sorridere.

8.                         Noi possediamo dei geni che a loro volta ci possiedono.

9.                         Vivere di morte, morire di vita. Vivere per vivere: accettare veramente la vita vuol dire accettare che  non abbia alcuna ragione esterna ad essa.


Introduzione

“Il contrario di una verità profonda è un'altra verità profonda”. È proprio in quest'affermazione di Niels Bohr che Edgar Morin identifica il suo pensiero. Un pensiero che gli ha consentito di superare la "fase totalitaria" attraverso diverse tappe, caratterizzate da momenti drammatici della sua esperienza politica, che vanno dalla giovanile adesione al comunismo sino all'abbandono dello stesso. "Sono giunto alla concezione della complessità e del pensiero complesso attraverso una mia particolare tendenza volta a riconoscere come verità tutte le affermazioni, anche quelle più contraddittorie - precisa Morin- e con la mia naturale propensione al dubbio e all'aspirazione ad una fede non necessariamente identificata con la religione".

Una battaglia spirituale, nella quale si stagliano i concetti del dubbio, della fede, della razionalità e della religione. Ma una battaglia dalla quale approda ai lidi di una nuova concezione filosofica che, rifiutando la pretesa di una conoscenza totale, cerca e trova un metodo "che possa articolare ciò che è collegato e collegare ciò che è disgiunto". Un cammino lungo, ma che non è ancora terminato e probabilmente non lo sarà mai, perché "il cammino non esiste, ma si costruisce camminando". È stato lo stesso Morin a descrivere in alcune splendide pagine autobiografiche il superamento della visione ideologica dentro la quale era rimasto a lungo irretito: una visione che semplificava all'estremo il mondo storico e che pretendeva di spiegare la realtà attraverso il recupero di uno dei suoi "vecchissimi sentimenti" quello della "relatività della verità e dell'errore e quello della complementarietà delle posizioni contraddittorie". E la "teoria della complessità" si presenta, invece, come l'esatto contrario delle filosofie totalizzanti. Siamo invece in un mondo articolato e complesso, a fronte di quello tradizionale, mutilante ed astratto, al quale arriva operando una sintesi originale tra il pensiero di Vico, Hegel, Marx da un lato e di Heisenberg, Prigogine, von Foester e Maturana dall’altro.

Il pensiero complesso

Ma in che cosa consiste questa complessità, questo pensiero complesso? Scopriamolo dalle parole stesse di Morin:  “Il pensiero complesso è consapevole in partenza dell’impossibilità della conoscenza completa: uno degli assiomi della complessità è l’impossibilità, anche teorica, dell’onniscienza. Riconoscimento di un principio di incompletezza e di incertezza. Il pensiero complesso è animato da una tensione permanente tra l’aspirazione a un sapere non parcellizzato, non settoriale, non riduttivo, e il riconoscimento dell’incompiutezza e della incompletezza di ogni conoscenza. Questa tensione ha animato tutta la mia vita…Per tutta la vita…ho sempre aspirato ad un pensiero multidimensionale. …Ho sempre sentito che alcune verità profonde, antagoniste tra loro, erano per me complementari, senza smettere di essere antagoniste” (cfr. E. Morin, Introduzione al pensiero complesso, trad. it. Sperling & Kupfer, Milano 1993, p. 3). Diciamo in conclusione che ci sono tre principi che possono aiutarci a pensare la complessità.

Il primo è il principio che Morin chiama dialogico. Il principio dialogico ci consente di mantenere la dualità in seno all’unità: associa due termini complementari e insieme antagonisti.

Il secondo principio è quello di ricorso di organizzazione. Un processo ricorsivo è un processo in cui i prodotti e gli effetti sono contemporaneamente cause e produttori di ciò che li produce. L’idea del ricorso è dunque un’idea di rottura con l’idea lineare di causa/effetto, di prodotto/produttore, di struttura/sovrastruttura.

Il terzo principio è il principio ologrammatico. Non solo la parte è nel tutto, ma il tutto è nella parte. Il principio ologrammatico è presente nel mondo biologico e nel mondo sociologico. L’idea dell’ologramma costituisce dunque un superamento tanto rispetto al riduzionismo che non vede che le parti, quanto rispetto all’olismo che non vede che il tutto.

Le minacce più gravi cui l’umanità va oggi incontro sono legate al progresso cieco e incontrollato della conoscenza (armi termonucleari, manipolazioni di ogni genere, squilibrio ecologico ecc.). Tali errori, ignoranze, cecità, pericoli hanno un carattere comune, secondo Morin, che risulta da un modo mutilante di organizzazione della conoscenza, incapace di riconoscere e di afferrare la complessità del reale.  La scienza classica si è fondata sotto il segno dell’oggettività, cioè sotto il segno di un universo costituito da oggetti isolati (in uno spazio neutro), soggetti a leggi oggettivamente universali. Spiegare significava scoprire gli elementi semplici e le regole semplici a partire dalle quali si effettuano le varie combinazioni e le costruzioni complesse. I successi della fisica classica spinsero le altre scienze a costituire allo stesso modo il loro oggetto nell’isolamento rispetto a ogni ambiente e ad ogni osservatore…trionfò la spiegazione riduzionista, così pare, perché si potevano ricondurre tutti i processi viventi al gioco di alcuni elementi semplici. Ora è alla base della fisica che all’inizio del ventesimo secolo si opera uno strano capovolgimento poiché non è più né vero oggetto né una vera unità elementare, la particella apre così una doppia crisi: la crisi dell’idea di oggetto e la crisi dell’idea di elemento. La particella ha perso ogni sostanza, ogni chiarezza, ogni distinzione, a volte persino ogni realtà; si è convertita in un nodo gordiano di interazioni e di scambi. Le particelle hanno le proprietà del sistema molto di più di quanto il sistema non abbia le proprietà delle particelle.

Il paradigma di semplicità è un paradigma che mette ordine nell’universo, e ne scaccia il disordine. L’ordine si riduce a una legge, a un principio. Questa mitologia estremamente potente, ossessiva benché nascosta, ha animato ad esempio il movimento della fisica. Bisogna riconoscere che questa mitologia è stata feconda perché la ricerca della grande legge dell’universo ha portato alla scoperta di leggi fondamentali quali la gravitazione, l’elettromagnetismo, le interazioni nucleari forti, poi quelle deboli. Oggi, ancora, gli scienziati e i fisici cercano di trovare il nesso tra queste diverse leggi che farebbe di loro una vera legge unica. La stessa ossessione ha portato alla ricerca della tessera elementare con cui era costruito l’universo. La patologia moderna della mente è nella iper-semplificazione che rende ciechi alla complessità del reale. La patologia dell’idea è nell’idealismo; la malattia della teoria è nel dottrinarismo e nel dogmatismo; la patologia della ragione è la razionalizzazione. Siamo ancora ciechi al problema della complessità, mentre solo un pensiero complesso ci consentirebbe di civilizzare la nostra conoscenza.

 Si tratta quindi di sviluppare contemporaneamente una teoria, una logica, un’epistemologia della complessità che possa essere adeguata alla conoscenza dell’uomo. Quanto noi cerchiamo qui è dunque contemporaneamente l’unità della scienza e la teoria dell’altissima complessità umana. Morin vuole tentare un discorso multidimensionale non totalitario, teorico ma non dottrinario, aperto sull’incertezza e il superamento; non ideale/idealistico, sapendo che la cosa non sarà mai totalmente racchiusa nel concetto, il mondo non sarà mai imprigionato nel discorso. Questa è l’idea della scienza nuova. Ciò che interessa a Morin è rispettare le esigenze di indagine e di verifica proprie della conoscenza scientifica e le esigenze di riflessione proposte alla conoscenza filosofica. La sua idea secondo cui siamo nella preistoria della mente umana è un’idea molto ottimistica. Ci apre al futuro, a condizione però che l’umanità abbia un futuro davanti a sé. La complessità, per Morin, è la sfida, non è la risposta.

Altre opere

Queste idee sono maturate gradualmente in Morin. Vorrei qui citare alcune sue opere per mostrare come tutto si sia sviluppato lungo molti anni anche se fin dalle sue prime pubblicazioni vi è stata l’attenzione ad un pensiero multidimensionale.

Il primo libro che potrei citare è intitolato L’uomo e la morte (pubblicato nel 1951), ed è il frutto del suo ingresso negli ambienti di ricerca al CNRS. È un libro che è già trasversale, come praticamente tutti i libri di Morin: si occupa di antropologia ma anche di scienze, di filosofia, di letteratura. In esso denunciava due aspetti della morte dimenticati dall’antropologia dell’epoca. Da un lato, la realtà puramente biologica dell’essere umano che è mortale come ogni essere vivente; dall’altro, la realtà umana del mito e dell’immaginario che abbozzano una vita al di là della morte. L’antropologia moriniana si situa così nel mondo biologico, nel mondo fisico e nel cosmo; l’umanità si riconosce nelle sue radici e nel suo destino terreno e viene abbandonata ogni idea presunta di immortalità” e di paradiso sulla terra.

Ne Il paradigma perduto (del 1973), Morin sosteneva che l’uomo non è composto di due parti sovrapposte, bio-naturale l’una e psico-sociale l’altra: l’uomo è invece una totalità bio-psico-sociologica. Non è una entità chiusa, né la natura è passività, materia amorfa. Un’altra carenza delle cosiddette scienze umane è quella di non aver voluto riconoscere l’esistenza dell’immaginario e dell’idea. D’altra parte, la biologia ha ignorato a lungo che la cultura ha giocato un ruolo attivo nel complesso ereditario, dando luogo a pressioni selettive sul genotipo e intervenendo sulla determinazione del fenotipo. Quindi né antropologismo ma neppure biologismo: l’uomo, dice Morin, “è un essere culturale per natura perché è un essere naturale per cultura”. Epistemologicamente, le basi per una nuova teoria scientifica sono date, oltre da una rilettura di Marx e di Freud, da una logica della “entropia negativa”, nel senso di una logica della complessità e della auto-organizzazione, che dia luogo ad una “anti-entropologia” (gioco di parole tra entropia e antropologia), cioè ad una scienza dei sistemi anti-entropici. Il fondamento di una nuova scienza dell’uomo è perciò policentrico: la verità umana comporta l’errore; l’ordine umano comporta il disordine; la risposta giusta non può essere che complessa e anche contraddittoria. Quel che deve finire è l’auto-idolatria dell’uomo convenzionalmente visto come “l’animale razionale”. L’uomo è invece folle-savio, sapiens-demens. Pensate che il fenomeno patologico dello sdoppiamento della personalità (schizofrenia) non fa che rivelare un fenomeno normale secondo il quale la nostra personalità si cristallizza non solo secondo i ruoli sociali che dobbiamo rappresentare (il piccolo funzionario sottomesso di fronte al capoufficio sarà un arrogante tiranno in casa propria) ma anche a seconda delle circostanze: la collera, l’amore, l’odio, la tenerezza ci fanno realmente cambiare da una personalità ad un’altra, modificando non solo le nostre voci e i nostri comportamenti ma anche la gerarchia interna paleo-meso-neo-cefalica (ricordate la tripartizione dell’encefalo che risale a Mac Lean del cervello tri-unico ?): così abbiamo, senza dubbio, personalità diverse, una predominante e le altre che emergono occasionalmente (ricordate Pirandello con Uno, nessuno e centomila?). Bisogna quindi tenere conto che lo sviluppo dell’immaginario, le mitologia e la magia, gli errori e il disordine lungi dall’essere stati uno svantaggio per l’uomo, sono al contrario legati al suo prodigioso sviluppo. In conclusione, la scienza nuova, come la chiama Morin ricordandoci Vico, deve stabilire l’articolazione tra la fisica e la vita, fra entropia e antientropia, fra la complessità macrofisica e quella microfisica. Dovrà stabilire l’articolazione tra il vivente e l’umano, l’anti-entropologia e l’antropologia, dato che l’uomo è l’antientropico per eccellenza.

In Scienza con coscienza (1982), Morin sostiene che l’errore è il rischio permanente della conoscenza e del pensiero intellettuale: anzi noi facciamo sovente l’errore di sottostimare l’errore. L’errore che è tipico del nostro tempo è soprattutto un errore ideologico. Gli intellettuali hanno accumulato, con le ideologie, gli errori più fatali (pensate ad esempio, anni fa, alla moda dello strutturalismo, che aveva abolito il soggetto umano, l’essere umano concreto, vivente: tali stupidaggini si facevano in nome della Scienza!). Da qui una incessante vigilanza per scoprire tutte le fonti degli errori possibili e stare continuamente in guardia contro la dissimulata intrusione dell’errore. Ma si tenga presente che i miti, come l’immaginario, fanno parte della realtà umana. Il vero problema è riconoscere il carattere mitico dei nostri miti, riconoscerli appunto come tali, fare dialogare la nostra razionalità con i nostri miti. Il problema dell’errore è fondamentale sia nella vita in generale come nella storia e nella politica. Certo non esiste nessun metodo infallibile per evitare sempre un errore però ci sono metodi di protezione, di lotta, di prevenzione dall’errore, che si riassumono nella conoscenza completa o, meglio ancora, complessa. Per dirla con Nietzsche, “il veridico è semplice ma la verità è molto, molto complessa”.

In un’altra opera, intitolata Lo spirito del tempo, Morin criticava due aspetti della società contemporanea: da un lato era contro il rincretinimento favorito dai mass media e dall’altro il rincretinimento proprio dei cosiddetti intellettuali e all’interno dell’università e della scuola in genere.

Nella Introduzione ad una politica dell’uomo (1965), Morin aspira ad un pensiero che tenga conto dell’invenzione, della creazione e del soggetto umano. È un pensiero che riflette sui problemi della società, della civiltà, della democrazia. Si sforza di riconsiderare il problema politico nella teoria e in pratica. C’è il rifiuto netto di ogni totalitarismo. Vi è poi l’idea che le conseguenze delle azioni sfuggono alle intenzioni di chi le compie; ogni storia del passato subisce la retroazione delle esperienze del presente, per cui non ci può mai essere un osservatore puro, e quindi vi deve essere sempre la preoccupazione metodologica di una costante autocritica. Vi sono errori sui fatti, errori sul senso di una azione, errori sul risultato sperato ecc. Predica il pensiero planetario e, prima della diffusione del terzomondismo, è attento alla preoccupazione della sorte del mondo che è vincolata alla preoccupazione per il Terzo Mondo, ma, si badi bene, fin da subito senza illusioni terzomondiste, visto che ha caratteri a volte progressivi e a volte regressivi. La solidarietà vissuta è l’unica cosa che permette la crescita di complessità. A questo punto, a chi gli chiedesse se è di sinistra o di destra, Morin risponde che “Io ero (e mi considero tuttora) contemporaneamente di sinistra e di destra. Dico “di destra” nel senso che sono molto sensibile ai problemi delle libertà, dei diritti dell’uomo, delle transizioni senza brutalità, e “di sinistra” nel senso che penso che i rapporti umani e sociali potrebbero e dovrebbero cambiare in profondità”.

Ne Il vivo del soggetto (1969) Morin propone una antropologia chiamata “antropocosmologia”, che tenga conto non solo della antropologia ma anche della varie scienze come la sociologia, l’economia e soprattutto della biologia. In particolare della biologia perché, secondo quanto dice Morin, un uomo è anche un essere biologico e tutto ciò che concerne la biologia riguarda anche l’uomo. Senza però dimenticare, nello stesso tempo, che atomi e molecole che ci costituiscono procedono dal cosmo e quindi l’uomo è anche un essere cosmico. Ritorna dunque qui la sua idea costante di non escludere nessun punto di vista ma integrarli tutti non rifiutando a priori nessun tipo di approccio alla realtà che si intende studiare, in questo caso l’uomo.

L' educazione

«Come in passato l´umanità è uscita dalla preistoria attraverso una serie di metamorfosi sociali, così oggi l´epoca di crisi che stiamo attraversando ci spinge verso nuove trasformazioni, il cui risultato sarà forse una metamorfosi di portata planetaria».

 Da molti anni, infatti, opere come La conoscenza della conoscenza, Il metodo o L´identità umana vengono lette e apprezzate in tutto il mondo per la loro capacità di analisi che non esita a rimettere in discussione le proprie certezze, rifiuta i compartimenti stagni dello specialismo e fa dell´autocritica uno strumento essenziale per arginare le false illusioni e gli errori della conoscenza. Tale atteggiamento intellettuale è per Morin irrinunciabile, specie di fronte a un mondo che ha un urgente bisogno di trasformazioni radicali, pena la propria autodistruzione: «Quando un sistema non è più in grado di affrontare e risolvere i problemi vitali della collettività, le alternative sono solo due: o crolla o si trasforma. Oggi siamo in questa situazione, visto che gli arsenali nucleari, il degrado progressivo dell´ecosistema, lo sperpero delle risorse naturali, gli squilibri, le intolleranze e le crescenti disuguaglianze tra le diverse parti del pianeta creano una situazione drammatica, dove la possibilità dell´autodistruzione diventa molto concreta». Tuttavia l´autore dei Miei demoni non vuole lasciarsi andare al pessimismo. Anche perché è convinto che i periodi di crisi non siano solo gravidi di pericoli, ma anche di nuove possibilità: «La crisi può favorire la metamorfosi del sistema, in direzione di una società-mondo più ricca e complessa, una società più umana e giusta, capace di far fronte alla sfide del futuro». A condizione però che la civiltà occidentale rinunci a rincorrere ostinatamente un´idea di progresso «basata esclusivamente sulla fiducia cieca nel potere della tecnica e dell´economia». D´altronde, ricorda, la nostra idea di sviluppo non può essere applicata indifferentemente a tutte le aree del pianeta, senza tenere conto delle loro diverse specificità. Al contrario, solo cercando di valorizzare i caratteri originali di ogni società sarà possibile far emergere un nuovo equilibrio planetario, «capace di risolvere i problemi più urgenti dell´umanità e favorire il diffondersi della democrazia». A questo proposito, lo studioso ricorda che diversi elementi della futura società-mondo sono già davanti ai nostri occhi, sebbene non siano ancora connessi tra di loro. La globalizzazione ad esempio ha creato una rete mondiale di comunicazioni che non ha precedenti nel passato, contribuendo a integrare l´economia di quasi tutte le zone del pianeta. Questa evoluzione, che finora è stata quasi del tutto incontrollata, ha fatto emergere il bisogno di nuove regole a livello mondiale e ha favorito il diffondersi di una coscienza collettiva che riconosce l´appartenenza a un destino comune. Ma per favorire una società maggiormente a misura d´uomo, egli immagina l´avvento di una nuova generazione della tecnica: «Finora le macchine hanno obbedito esclusivamente a una logica meccanica, determinista e specializzata. È la logica della realtà artificiale e del calcolo economico, una logica che è incapace di cogliere le qualità della vita, occupandosi solo del dominio quantitativo e del calcolo cieco. Dal mondo scientifico ed economico, questa logica si è progressivamente estesa a tutti i settori della vita, che così risulta sempre più meccanizzata e cronometrata».

Oggi però il bisogno di privilegiare la qualità sulla quantità si manifesta di frequente, anche se quasi sempre in maniera inconscia e disordinata. Se il primato degli aspetti qualitativi riuscirà a imporsi, forse un giorno avremo delle macchine «dotate di alcune qualità della vita».  Un risultato che però sarà possibile solo se riusciremo a promuovere una trasformazione profonda della conoscenza e della scienza, in nome di un sapere che non sia più rigido e parcellizzato, ma duttile e capace di confrontarsi con la complessità, facendo dialogare discipline diverse».

È per questo che Morin non si stanca d´invocare una riforma radicale dell´insegnamento, come ha fatto anche di recente in un libretto molto discusso intitolato I sette saperi necessari all´educazione del futuro: «Di fronte alla complessità del mondo in cui viviamo e alle sue contraddizioni, la conoscenza non può essere esclusivamente specialistica e frammentaria. Purtroppo, nella tradizione occidentale ha sempre prevalso il Discorso sul metodo di Descartes, per il quale conoscere significa separare, in nome di un metodo analitico il cui risultato finale nasce dalla somma di tanti frammenti». A Descartes, Morin preferisce Pascal: «Questi, ricordando che non si può separare la parte dal tutto, il particolare dal globale, propone un andirivieni continuo tra i due poli, integrando la conoscenza di tipo analitico in una sintesi più vasta». Citando l´autore dei Pensieri, Morin ricorda che «il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce», motivo per cui occorre utilizzare la razionalità, ma tenendone sempre presenti i limiti e cercando di non essere succubi della logica quantitativa dominante.

            I sette saperi sono i seguenti:

1. studiare i processi della conoscenza;

2. conoscere i problemi da un punto di vista non solo particolare ma anche globale,
                da situare in uno contesto e in un insieme;

3. insegnare la condizione umana: la complessità della identità, unità e diversità
                umane;

4. insegnare la storia dell’era planetaria che è cominciata nel XVI secolo ed oggi ci
                porta a vivere un destino comune;

5. rivelare le incertezze, i dubbi, i problemi, gli errori nelle varie discipline e
                insegnare le strategie per affrontare le difficoltà;

6. insegnare la comprensione, la pace, la tolleranza: studiare quindi
                l’incomprensione, il pregiudizio ecc.;

7. un’etica planetaria, in cui nella democrazia vi sia il controllo fra società e individuo
                e nello stesso tempo l’umanità si senta un’unità planetaria.

Solo così, sostiene, sarà possibile «una vera comprensione del mondo in cui viviamo, che è altra cosa dalla semplice spiegazione, di solito limitata ai semplici dati oggettivi». Accanto alla battaglia per una nuova educazione, lo studioso francese sottolinea anche l´importanza dell´etica, a cui non a caso ha deciso di dedicare il sesto e conclusivo volume del suo Metodo : «Una società-mondo più equilibrata e giusta sarà possibile solo se l´etica tornerà al centro delle nostre preoccupazioni, tanto sul piano personale quanto su quello collettivo. L´etica, infatti, fonda e alimenta i concetti di responsabilità e di solidarietà». E oggi, conclude, «abbiamo più che mai bisogno di solidarietà».


NOTE BIOGRAFICHE

Edgar Morin è nato a Parigi nel 1921 da genitori ebrei sefarditi, nomadi d'Europa- sia il ramo materno che paterno della sua famiglia ha sostato in Italia, Spagna, Turchia ecc. Il suo cosmopolitismo è sicuramente riferibile a questa origine ebrea e meticcia. Il suo vero nome è Nahum.  Morin è il cognome che assume durante la Resistenza, prendendolo da quello di una sua compagna, che poi sposa nel 1945. Autodidatta, in quanto interrompe gli studi universitari per impegnarsi nella Resistenza, aderisce, dopo una prima attrazione per i movimenti anarchici, pacifisti e libertari, al Partito Comunista Francese, da cui è espulso nel 1951. Diventato sociologo al C.N.R.S. (Centre national de la recherche scientifique) di cui è tuttora direttore per la sezione scienze umane e sociali, si dedica negli anni Cinquanta a ricerche, rimaste celebri, sulla morte, sul divismo, i giovani e la cultura di massa. Collabora con articoli politici al “France-Observateur” e poi al “Nouvel Observateur”. Fonda, nel 1956, con altri intellettuali transfughi del P.C.F, la rivista “Arguments”, che si ispira alla rivista “Ragionamenti” di Franco Fortini, e durerà fino al l962, trattando i temi politici centrali degli anni Cinquanta e Sessanta: il congelamento della lotta di classe nei paesi del “socialismo reale”, la nuova classe burocratica, la guerra d’Algeria, il gaullismo. Nel 1967, con Roland Barthes e Georges Friedmann, fonda la rivista “Communications”, di cui è tuttora co-direttore. Un soggiorno al Salk Institut nel l969 lo mette a contatto con la teoria dei sistemi che costituirà il punto di partenza delle sue successive ricerche epistemologiche. Nel 1987 ha vinto il Premio Europeo “Charles Veillon”. Nel 1998 è nominato Presidente del Comitato Scientifico per la riforma dei saperi nelle scuole secondarie superiori dall'allora Ministro dell'Istruzione francese Claude Allègre. Attualmente è Presidente dell'Associazione per il Pensiero Complesso con sede a Parigi e Presidente dell'Agenzia europea per la Cultura (UNESCO).


BIBLIOGRAFIA

            E. Morin, Il metodo 1. La natura della natura, Cortina e Feltrinelli
            E. Morin, Il metodo 2. la vita della vita, Feltrinelli
            E. Morin, Il metodo 3. La conoscenza della conoscenza, Feltrinelli
            E. Morin, Il metodo 4. Le idee, Feltrinelli
            E. Morin, Il metodo 5. L’identità umana, Cortina editore
            E: Morin, Il metodo 6. Etica, Cortina
            E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Cortina editore
            E. Morin, La testa ben fatta, Cortina editore
            E. Morin, Amore poesia saggezza, Armando
            E. Morin, I miei demoni, ed. Meltemi
            E. Morin, Terra-Patria, Cortina editore
            E. Morin, Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer
            E. Morin, Pensare l’Europa, Feltrinelli
            E. Morin, Il rosa e il nero, Spirali edizioni
            E. Morin, Sociologia, ed. Lavoro
            E. Morin, Scienza con coscienza, Franco Angeli
            E. Morin, Il paradigma perduto: la natura umana, Bompiani
            E. Morin, Il vivo del soggetto, Vitali Moretti
            E. Morin, Introduzione a una politica dell’uomo, Meltemi


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