Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

martedì 12 novembre 2013

Il Gesù poderosamente non-violento di John Milton

Da "http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/il-gesu-poderosamente-nonviolento-di.html" :

Io che ho cantato il giardino gioioso perduto per la disobbedienza di un solo uomo, canto ora il paradiso riconquistato per tutta l’umanità dalla tenace obbedienza di un solo uomo, messo alla prova fino in fondo da ogni tentazione; e il tentatore fallì in tutte le sue astuzie, sconfitto e respinto, e l’Eden sbocciò nello squallido deserto.
John Milton, Paradiso Riconquistato.

Per Paolo di Tarso, e quindi per la Chiesa, Gesù il Cristo è il nuovo Adamo, il figlio di Dio che ci ricorda com’era Adamo prima della caduta. È l’uomo perfetto, immerso nel tempo e nel divenire, ma modello dell’uomo a venire, ponte tra l’uomo caduto ed il Creatore. Gesù insegna che la morale non proviene dalla nostra esperienza empirica, dall’accumulazione di conoscenza e valori, è un a priori che proviene dal nostro intimo, dalla profondità di ciò che siamo, dal nostro legame con il Regno di Dio e si realizza nella spontaneità dell’atto d’amore che, come spiega molto bene Paolo ai Corinzi: “è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità. Ci riempiamo la bocca con la parola amore, però amiamo rozzamente, narcisisticamente, in preda all’ansia, alla gelosia, alla dipendenza, all’aggressività, alla devozione, al desiderio, all’autocommiserazione ed all’invidia: ci piace sapere che la persona che amiamo dice in giro che ci appartiene, come se amore e possesso coincidessero; preferiamo amare qualcuno finché la pensa come noi; uccidiamo per amor patrio. Eppure, se non fosse per i mille modi, più o meno sgraziati o fulgidi, con cui tentiamo di amarci l’un l’altro, non sarebbe possibile attribuire alcun significato all’idea della dignità della persona, dell’inalienabilità dei suoi diritti: sarebbero involucri vuoti.
Non si può comunque ridurre il messaggio di Gesù al Discorso della Montagna ed alla predicazione dell’Amore per il prossimo. La resistenza alle tentazioni (simile a quella di Gauthama) e l’apocalisse sono elementi fondamentali, forse anche più importanti della dottrina dell’amore, perché essa non si può realizzare pienamente se non dopo la fine dei tempi mondani. Questo perché Satana – come Mara, il tentatore di Gautama Siddharta – si proclama signore di questo mondo e Gesù non lo contraddice, non lo smentisce. Anzi, resiste fattivamente alle tentazioni del Signore del Mondo: non le considera illusorie o ludiche. Non è nel Mondo Caduto che intende stabilire il Regno di Dio: “il mio regno non è di qui” (Giovanni 18, 36). Non è della corruzione della carne che si preoccupa: “E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccider l’anima; temete piuttosto colui che può far perire e l’anima e il corpo nella Geenna” (Matteo 10, 28).
Invece di scegliere la via della dominazione o della rivoluzione (come gli zeloti), sceglie la via del servizio: “E Gesù, chiamatili a sé, disse: “Voi sapete che i sovrani delle nazioni le signoreggiano e che i grandi esercitano il potere su di esse, ma tra di voi non sarà così; anzi chiunque tra di voi vorrà diventare grande sia vostro servo;  e chiunque tra di voi vorrà essere primo sia vostro schiavo. Poiché anche il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire” (Matteo 20: 25-28).
Resiste a tutte le tentazioni: quelle diaboliche, quelle del popolo che lo acclama re, quella della fuga di fronte alla prospettiva di una morte certa. Come il Buddha, in luogo dei piaceri edonistici preferisce la vita dello spirito: “Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Matteo 4, 4). Infatti, “chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la propria vita per me, esso la salverà. Infatti, che giova all’uomo l’aver guadagnato tutto il mondo, se poi ha perduto o rovinato se stesso?” (Luca 9:24-25).
Gesù sconsacra il mondo e consacra la coscienza (Lenoir, 2007). Insegna che sopravvivere non basta, bisogna esserne degni. Vivere senza una coscienza integra è peggio che morire. La vita del corpo non è il valore precipuo. Gesù ci rammenta che c’è un confine che i giusti non osano oltrepassare, ci sono azioni che non commetterebbero mai, indipendentemente dagli ordini che vengono loro impartiti o da quanto disperata sia la loro situazione. Questo perché sentono, istintivamente, che varcata quella linea, non potrebbero più tornare indietro, non ci sarebbe più un’ulteriore occasione per marcare il confine del nec plus ultra (non oltre). L’integrità morale è più preziosa della vita. Infatti: «Gesù disse, "Se esprimerete quanto avete dentro di voi, quello che avete vi salverà. Se non lo avete dentro di voi, quello che non avete vi perderà"» [Tommaso, 70]. Gesù è pienamente autorizzato ad usare toni perentori e definitivi. È riuscito a resistere alle tentazioni di Satana, mostrando di essere pronto ad assolvere i compiti per cui si è incarnato in quel tempo ed in quel luogo.
Trovo che la rilettura di questa disputa effettuata da John Milton ne “Il Paradiso Riconquistato” sia particolarmente illuminante. Per Milton, come per tanti altri pensatori, l’incarnazione è una degradazione ontologica, una spiacevole caduta in una gerarchia monistica materiale che va invertita. Quest’opera parte dalla premessa che Gesù sia il secondo Adamo e che il ritiro spirituale nel deserto, dove sarà “aggredito” da Satana, sia un viaggio alla scoperta di sé – come l’Odissea, come la cerca del Graal. Il dialogo miltoniano tra Gesù e Satana mostra un Satana molto retorico e sofisticato ed un Gesù semplice, preciso, conciso ed incisivo. Satana si affida al potere dello scrutinio razionale, come ogni formalista (la storia della Chiesa insegna). Tenta Gesù informandolo di un difetto fondamentale della sua opera: le sue virtù non sono sufficientemente pubblicizzate. Se solo il mondo si potesse accorgere della sua grandezza, la gloria e la fama sarebbero garantite. Gesù però sa che non trarrebbe alcun beneficio dall’adorazione delle folle, che non sono certamente sagge e non potrebbero mai veramente capire la specificità della sua missione. Le folle hanno dimostrato a più riprese di non essere in grado di discernere a chi spetti la loro ammirazione, intessendo le lodi di despoti e condottieri sanguinari. La vera gloria si consegue “per vie molto diverse”, cioè “senza ambizione, guerra o violenza; con opere di pace, saggezza eminente, pazienza e temperanza” (PR III). 
Satana insiste: libera Israele, come puoi restare indifferente di fronte all’oppressione dei popoli? Gesù mette in dubbio l’interpretazione della realtà formulata dal Tentatore: a chi verrebbe mai in mente di liberare chi è interiormente schiavo, prigioniero per sua stessa mano? Le persone che sono spiritualmente schiave non possono essere liberate: finché non scelgono di cambiare dall’interno non saranno in grado di capire cosa sia la libertà e la scambieranno per qualcos’altro
A questo punto Satana batte la strada che ha già portato alla rovina Eva ed Adamo. Se vuoi farcela, insinua il Tentatore, ti conviene equipaggiarti con la sapienza classica. Gesù ribatte che la comunione con Dio gli offre tutta la conoscenza di cui abbisogna: “Chi riceve la Luce dall’alto, dalla Fonte di luce, non necessita di altre dottrine, per quanto siano date per veridiche; ma esse sono false, o poco più che sogni, congetture, fantasticherie, costruite su fragili fondamenta” (PR IV, 286-292).
Satana non è un rivoluzionario, ma un controrivoluzionario: gli piacciono le gerarchie feudali, ma vuole essere lui il capo. Gesù invece predica l’uguaglianza, ossia l’abolizione di tutte le gerarchie. Satana parla di libertà, ma le sue azioni sono all’insegna della dominazione, della gloria, della fama personale. Non riconosce gli altri come suoi pari. Non è neppure più un mentitore patologico, è una menzogna ambulante, così innamorato di sé stesso da aver rinunciato ad interessarsi a Dio, da desiderare di esistere per conto suo, da credere di non essere mai stato creato. Crede che lui ed i suoi angeli siano autogenerati "self-begot, self-raised" in virtù della loro potenza, in una sorta di percorso evolutivo spontaneo (fatal course). L’orgoglio, l’invidia, il risentimento, l’odio, la furia, la gelosia sono le sbarre della sua prigione infernale. Si sente vittima pur essendo la causa dei suoi mali e questo vittimismo perpetuo lo imprigiona e lo corrompe progressivamente.
Che cosa dovrebbe impedire alle legioni dell’Inferno di deporre Satana stesso, ora che quest’ultimo ha tracciato la strada della ribellione? Satana, come Robespierre, è un aspirante tirannicida con il cuore di un tiranno. Stabilisce una gerarchia infernale di carattere monarchico e nel farlo si appella proprio alla logica del sistema di potere che vuole abbattere. È un ipocrita. Usa le stesse parole per condannare gli uni e giustificare se stesso. Non è davvero possibile avere un dialogo con lui, perché il suo intelletto è gravemente compromesso, è virtualmente reso autistico dalla sua assoluta preferenza per se stesso. Di conseguenza, nelle tentazioni della Partia, di Roma e di Atene non possiamo fare a meno di notare la futilità dell’interloquire, che rende onore a Milton, disposto a sacrificare l’intrattenimento pur di preservare l’integrità dell’opera. Satana non è strutturalmente in grado di capire le argomentazioni di Gesù e quest’ultimo non è minimamente interessato alle profferte di Satana, che considera ben poca cosa rispetto a ciò che già possiede.
Satana gli dice: tu pensi di sapere molto, ma io ti posso garantire che la fonte di conoscenza che ti offro è infinitamente più vasta. Potrebbe farcela, com’è già successo con Eva, perché Gesù si è ritirato nel deserto proprio alla ricerca della conoscenza che gli permetterà di realizzare la sua missione (Yim, 2003). Ma Gesù, come già Socrate, sa che la vera conoscenza è già dentro di lui e si tratta solo di recuperarla scandagliando la sua interiorità: “conosci te stesso” è il motto dell’oracolo delfico. Il rifiuto di questa profferta indica il grado di consapevolezza acquisito da Gesù: “sono già in comunione con il divino”, non ho bisogno di altro. 
Allora Satana si gioca l’ultima carta, deponendolo sul pinnacolo del tempio: dimostra che sei chi pretendi di essere. Il primo Adamo è caduto, il secondo Adamo resiste. Narcisismo, ipocrisia e orgoglio non lo condizionano. La Caduta è l’incapacità di separare l’idea dalla realtà, la sovrapposizione delle proprie idee alla realtà, che impedisce di vederla come effettivamente è (“potrebbe essere”, “dovrebbe essere”, in luogo di “è”), fino al distacco completo dalla realtà stessa, che è il nostro fato: un estetismo cronicizzato che cancella il realismo, la visione obiettiva dei fatti.
La critica letteraria Carol Barton (Barton, 2000) ha osservato che i lettori del Paradiso Riconquistato si lamentano della staticità della trama, della passività del protagonista (Gesù), della mancanza di tensione nello scontro tra Bene e Male, del ripudio della cultura umanistica da parte di Gesù. Ma Gesù non deve fare altro che smascherare l’illusione, per annientare il potere del “mago”, come ne “Il meraviglioso Mago di Oz”. Non c’è alcun bisogno di un duello fisico o di un elaborato confronto filosofico. Una volta che l’eroe si rende conto del meccanismo che sorregge l’illusione, questa cessa di esercitare il suo potere su di lui e si dissolve. Gesù non agisce solo perché ha capito fin dall’inizio che le varie opzioni che gli vengono presentate sono fuorvianti e corrompenti, dietro un’apparenza di stuzzicante appetibilità. Compiere qualunque azione sollecitata da Satana (incluso sfamare gli affamati e liberare un popolo) equivale a rendersi suo complice e servo.
Gesù non deve dimostrare la sua divinità o superiorità, perché sono un dato di fatto, non un motivo di vanagloria. Non deve prevalere sul Male, ma su di sé. Se Adamo ed Eva avessero avuto la stessa intuizione, non ci sarebbe stata alcuna Caduta. 
La grande impresa di Gesù il Cristo è  precisamente questa: saper dire di no alle tentazioni, con determinazione, senza tentennare. Da quel momento in poi potrà portare a buon fine la sua impresa. È maturo per far sì che ogni sua azione sia equilibrata, attenta e tempestiva. È Adamo redivivo, prima della Caduta. Ogni azione va compiuta al momento opportuno, né prima, né dopo. Non spetta a Gesù o a chiunque altro alterare o accelerare il corso e la manifestazione della volontà divina. Ciò lo rende inattaccabile. Non deve scegliere tra le alternative proposte da Satana: sono inevitabili solo perché Satana vuol far credere e vuol credere lui stesso che lo siano. Non è certo Satana a dover stabilire quali siano le opzioni disponibili.
Satana semplicemente non sa abbastanza delle cose dell’universo, mentre Gesù sa che affidarsi alla conoscenza umana sarebbe come guardare il mondo con delle lenti distorcenti ed opacizzate. Perché rinunciare ai suoi 11 decimi di visione? Perché dovrebbe accontentarsi delle ombre sulle pareti della caverna quando può vedere il cielo stellato, cioè la Verità? Adamo ed Eva non dimostrarono la stessa lucidità.
A Gesù non è richiesto di annullare se stesso in Dio. Dio non è un divoratore di anime, non chiede nulla di più di quanto chiederebbero una moglie o un marito: non anteporre te stesso alla nostra unione. L’obbedienza non è una virtù in quanto tale se ci si piega alla tradizione o alla tirannia. L’obbedienza ha valore e significato solo se si fonda sull’amore e sulla sapienza. 
Ne “Il Paradiso Perduto”, l’arcangelo Raffaele spiega: “serviamo liberamente, perché amiamo liberamente” (5.538-9). Gesù ama e si fida, Adamo ed Eva no: si comportano impulsivamente ed egoisticamente e si prendono di nascosto quel che decidono sia loro per diritto acquisito, senza neppure domandarsi se sia saggio fidarsi di uno sconosciuto, tradire la fiducia di chi ti ama e dare per scontato che quel frutto ti sarà per sempre negato – e, se anche così fosse, che ciò avviene per futili motivi e non per il tuo bene.
Gesù preserva il suo libero arbitrio, scegliendo di non agire, che è di per sé un’azione. Infatti non è immobile, passivo, inerte. Sembra inattivo, ma è attivo, perché mentre il suo corpo appare inoperoso, la sua coscienza è attiva, circospetta, lungimirante: le tentazioni lo rendono consapevole di quale sia la sua natura ed il suo ruolo cosmico, lo aiutano a capire la differenza tra quel che lui vuole e la volontà della Provvidenza. Satana sembra in moto perpetuo, ma si affanna a correre senza riuscire a spostarsi dal luogo in cui si trova. Alla fine perde il controllo e precipita, ancora più dannato di prima, ancora più statico. È altrettanto significativo che Dante lo descriva come immobilizzato in una glaciale perpetuità.
Come Dostoevskij nella Leggenda del Grande Inquisitore, Milton non assegna al suo Gesù alcuna missione se non quella di resistere alla manipolazione della sua coscienza. Si salverà solo chi imiterà il suo rifiuto. L’immobilità di Gesù sul pinnacolo è quella di un uomo in cui la volontà personale è sorretta da quella divina, senza che le due possano essere distinte, perché la natura umana si è fatta umilmente e prontamente veicolo, strumento di quella divina, ricevendone in cambio l’onnipotente agape. Satana impone un “o…o”, Gesù risponde con un “e…e” (Barton, op. cit.). Solo in quell’istante si manifesta il Cristo, ossia una figura investita di poteri e funzioni speciali. Infatti, nei vangeli sinottici, sebbene gli angeli e i magi lo riconoscano come tale, il dubbio serpeggia. Giovanni Battista sospetta che sia proprio lui, ma non ne è certo. Gesù non si proclama tale ed anzi invita gli apostoli a mantenere un basso profilo: “Allora egli intimò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno” (Marco 8, 30). Nel Paradiso Riconquistato, Milton non lo chiama mai Cristo, ma “il Figlio”, a riecheggiare le parole di Giovanni: “ma a tutti coloro che lo hanno ricevuto, egli ha dato l'autorità di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome” (Giovanni 1, 12) e di Paolo: “Poiché tutti quelli che sono condotti dallo Spirito di Dio sono figli di Dio” (Romani 8, 14). Ancora più chiaramente, nella prima lettera di Giovanni: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro” (1 Giovanni 3, 1-3).
Fino alla fine dei tempi non potremo essere come Gesù, ma tutti possono sforzarsi di essere più simili al secondo Adamo, rispetto al primo.

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