Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

mercoledì 6 novembre 2013

La Funzione delle Metafore nei Testi Filosofici

Da "http://www.ilgiardinodeipensieri.eu/storiafil/cossuttacap4.htm" :


Il Giardino dei Pensieri - Studi di storia della Filosofia

Frédéric Cossutta
La funzione delle metafore nei testi filosofici [*]
[Vedi anche le voci: Analisi dei testi filosoficiMetaforaPensiero per immagini ]
1. Definizione - 2. Funzione metaforica  - 2.1 Localizzazione e marcatori - 2.2. Estensione e densità - 2.3. Studio interno del dominio metaforico - 2.4. Molteplicità dei temi e organizzazione - 3. Funzioni della metafora nel testo filosofico - 3.1. Come valutare l'importanza delle metafore? - 3.2. Funzione filosofica dell'uso della metafora - 3.3. Significato generale della metafora filosofica - Indice del Capitolo 4

I capitoli precedenti [*] ci hanno mostrato come le descrizioni, le definizioni, gli esempi, le concettualizzazioni contribuiscano all'elaborazione complessiva del testo filosofico. La metafora, qui intesa in senso generale, ci offre l'esempio di un fenomeno più ristretto sia per l'uso che ne vien fatto (i testi in cui essa domina sono poco numerosi se prendiamo in considerazione la storia della filosofia nel suo complesso), sia per il valore che essa assume. Tuttavia, abbiamo tutto il diritto di chiederci se la sua importanza sia così marginale come lascia pensare la sua scarsa presenza. Infatti, la metafora non ha forse con il concetto un legame più stretto rispetto alla semplice opposizione tra astratto e concreto? Non contribuisce forse con gli esempi e le descrizioni alla costruzione ontologica della dottrina? Lo studio analitico della funzione metaforica che è all'opera nei testi, piuttosto che lo studio teorico dello statuto filosofico della metafora, ci permetterà di rispondere a questi interrogativi.
I filosofi hanno contribuito a screditare la metafora affermando che essa serve unicamente ad abbellire il testo, che è un ornamento utile per renderne più facile la comprensione o per migliorarne la forza persuasiva. Possiamo ricorrere a ragioni storiche per spiegare questa posizione: possiamo dire ad esempio che la filosofia nella sua forma occidentale è nata mediante il rifiuto dell'immagine nella forma del mito. Avremo così sin dalle origini una antinomia tra l'ascesa filosofica verso l'intelligibilità e la pesantezza concreta dell'immagine che sarebbe veicolo di ignoranza e irrazionalità. Così J.P. Vernant studiando il passaggio dagli antichi miti cosmogonici alle cosmologie degli Ionici afferma:
"La nascita della filosofia appare dunque in relazione con due grandi trasformazioni mentali: il pensiero positivo, che esclude ogni forma di realtà sovrannaturale e rifiuta l'implicita assimilazione stabilita dal mito tra fenomeni fisici e agenti divini; il pensiero astratto, che spoglia la realtà di tutta quella potenza di cambiamento che le attribuiva il mito, e rifiuta l'antica immagine dell'unione degli opposti in favore della formulazione in termini categorici del principio di identità" (J.P. Vernant, Mito e pensiero presso i Greci).
I filosofi non devono soltanto rompere con l'immagine, che rappresenta di volta in volta nel suo uso poetico, mistico o mitico la prevalenza dell'elemento religioso, e nel suo uso stereotipato il peso del pregiudizio e dell'opinione. Devono piuttosto denunciarla, combatterla, cercando di "depurare" il linguaggio che essi impiegano dalle scorie di oscurità che essa veicola come ci testimonia questo passo di Hegel:
"Voler pensare senza le parole è un tentativo insensato... Si ritiene di solito, è vero, che ciò che c'è più alto sia l'ineffabile. Ma è questa una opinione superficiale e senza fondamento; infatti in realtà l'ineffabile è il pensiero oscuro, in pensiero in stato di fermentazione, che non diviene chiaro finché non trova la parola. La parola quindi dà al pensiero la sua esistenza più alta e più vera" (G.W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 450).
La metafora sta al concetto come l'ineffabile sta alla "parola": essa interrompe il cammino dimostrativo e rompe l'omogeneità della rappresentazione concettuale.
Non si può allora fare a meno di essere stupiti nel trovare nel testo di Hegel la presenza metaforica dell'"oscuro", dell'alto" e del "basso", del "puro" opposto alla "fermentazione": siamo in presenza delle coppie di contrari proprie del linguaggio mitico nel seno stesso di una forma di pensiero che ne prende le distanze; e persino in testi in cui l'astrazione è estrema come l'Etica di Spinoza o la Fenomenologia dello Spirito di Hegel troviamo l'impiego costante di termini spaziali per caratterizzare le relazioni tra categorie ("essere limitato da", "sviluppare"), o di termini visivi legati al gioco luce/buio a proposito di ciò che viene elevato alla sfera del conoscere ("non si distingue", "giudizio confuso"). Non si ha dunque mai il "grado zero" di metaforizzazione perché la lingua stessa è in parte intrisa di immagini "sommerse". Nello stesso modo, il discorso filosofico è intriso di metafore "consumate" e dunque a malapena percepibili come tali, ma che non possono sfuggire all'analisi.
Alcuni autori, da Aristotele fino a Charles Bally, spiegano questa impossibilità di giungere ad un pensiero "puro" richiamando un preciso limite dello spirito dell'uomo:
"La più grande imperfezione di cui soffre il nostro spirito è l'incapacità di astrarre in modo completo, cioè di rendere libero un concetto, di concepire un'idea al di fuori di ogni contatto con la realtà concreta. Noi accostiamo le nozioni astratte agli oggetti della nostra percezione sensibile perché è il solo mezzo che abbiamo per conoscerli e renderli intellegibili agli altri. E' questa l'origine della metafora" (C. Bally, Traité de stylistique française).
Sembra dunque che il rapporto tra concetto e immagine sia più complesso di quanto non appaia; infatti il filosofo sembra condannato a ricercare il modo migliore di ricorrere alle immagini perché non può eliminarle, ma deve ugualmente diffidare del loro proliferare che rappresenta un rischio interno alla filosofia, qualcosa che la fa regredire. Jacques Derrida in un importante studio dal titolo La mythologie blanche definisce così questo rapporto:
"La valutazione che la filosofia ne dà è sempre stata ambigua: la metafora è una minaccia ed è estranea all'"intuizione" (visione o contatto), al "concetto" (concentrazione o presenza forte del significato), della "coscienza" (prossimità a sé della presenza). Ma la filosofia stessa è complice di colei che la minaccia e che le è necessaria nella misura in cui ogni svolta è un tornare indietro lasciandosi guidare dalla funzione di somiglianza (mimesis e homoiosis) sotto la stessa legge. L'opposizione di intuizione, concetto e coscienza non ha più a questo punto nessun senso. Questi tre valori appartengono all'ordine e al movimento del senso" (Jacques Derrida, La mythologie blanche).
Potremmo aggiungere che anche in filosofi come Nietzsche o Bergson che valorizzano l'immagine e ne fanno un uso costante l'ambiguità è comunque presente: "Con l'immagine tu voli verso la verità", dice Zarathustra, ma l'immagine nella misura in cui ci mette in contatto con l'essere stesso deve presentarsi a sua volta come un intermediario: "Nessuna immagine" dice Bergson "potrà sostituire l'intuizione della durata" (La pensée et la mouvant).
Così tanto nei filosofi che ne minimizzano l'importanza quanto in quelli che la valorizzano l'immagine ha uno statuto filosofico ambiguo. Questa costatazione ha una grave conseguenza per il nostro tentativo di lettura: vi ritroviamo infatti il paradosso epistemologico formulato nell'introduzione a questo libro: a causa del rapporto specifico che la filosofia ha con l'immagine ogni tentativo di interpretazione tanto interno quanto esterno sembra votato al fallimento per le ragioni di principio che Derrida ha indicato nell'articolo citato prima:
"La tassonomia generale delle metafore - delle metafore dette filosofiche in particolare - presupporrebbe dunque la soluzione di importanti problemi e innanzitutto dei problemi che costituiscono tutta la filosofia nella sua storia. Una metaforologia dovrebbe derivare proprio dal discorso che essa pretenderebbe di dominare".
L'autore dimostra che le categorie che reggerebbero l'analisi descrittiva e le classificazioni dipenderebbero esse stesse direttamente o indirettamente (in una prospettiva retorica o linguistica) dal campo filosofico. Non sarebbe quindi possibile costruire una interpretazione delle metafore filosofiche né dall'interno né dall'esterno del campo metaforico (né attraverso un approccio retorico né attraverso un approccio metafilosofico). La nostra prospettiva, che non è né descrittiva né semplicemente classificatoria, ma vuole rendere conto della complessità testuale articolando l'operazione di metaforizzazione con tutte le altre operazioni che contribuiscono al tessuto della trama testuale, sfugge forse a questa impossibilità teorica? Il testo di Derrida, definendo gli ostacoli di principio, ci condanna ad una impotenza metodologica.
E' possibile tuttavia analizzare i tipi di immagine, di metafore, di analogie, per determinare quale sia la loro funzione, quali effetti di senso esse producano nel seno stesso del lavoro di concettualizzazione su cui si ritiene che si "innestino", e al quale devono dare impulso e colore. In questo modo il significato filosofico del loro uso apparirà a seguito dell'esame dettagliato delle regole a cui sottostanno, non l'inverso.

1. Definizione
Le metafore interrompono il percorso verso l'astrazione insinuandosi in esso per sostituirvi un diverso piano di significazione caratterizzato dall'impiego di immagini, la cui funzione sembra essere quella di offrire un equivalente concreto dell'analisi.
Le analogie, le comparazioni, le allegorie, i miti, le immagini e le metafore propriamente dette, riposano sugli stessi princìpi e creano delle interferenze in seno alla complessità del testo. Nella lettura ci disinteressiamo spesso di ciò che appare come un ornamento o una concessione pedagogica; al contrario, il ricorso alla metafora è inserito in profondità nel seno stesso dell'elaborazione filosofica, non soltanto nei testi che ne fanno grande uso, ma anche presso i filosofi che ne prendono le distanze.
Non ci accontenteremo quindi di classificare le forme del ricorso alla metafora e di descriverle, ma cercheremo di comprendere le regole che le governano e quale sia la loro precisa funzione all'interno del testo. In ultimo cercheremo di comprendere quale rapporto vi sia tra questa funzione e il significato filosofico che viene loro attribuito. (Per una analisi dei problemi epistemologici e filosofici che derivano da questo progetto di lavoro si vedano gli studi su questo tema di Derrida, Pérelman, Ricoeur).
In modo molto generale, definiamo l'operazione metaforica come il trasferimento di proprietà che appartengono a un dominio di riferimento concreto e figurato all'interno della rete testuale astratta dominante. (Non tratteremo qui della questione della diversità degli approcci - linguistici, retorici, filosofici - necessari per valutare criticamente questa definizione.)
Questo trasferimento può effettuarsi in forme variabili grazie alla presenza di analogie tra i due piani (analogie riguardanti numerosi rapporti: equivalenza, identità, somiglianza...).
Variando simultaneamente le forme di trasferimento e i tipi di equivalenza, si ottiene la serie di operazioni metaforiche particolari che troviamo all'opera nei testi:
- L'immagine nasce dalla fusione del piano figurato concreto e del piano astratto quando essi sono in un rapporto di identità: l'immagine unifica ordini differenti operando una sostituzione identificante.
Gaston Bachelard in La poetica dello spazio trasforma la formula di Jaspers: "Ogni essere appare rotondo", in una formula che gli sembra meglio condensare la poetica e la metafisica nell'immagine: "rotondità dell'essere".
- La metafora propriamente detta accosta per contiguità gli elementi che appaiono legati da analogia.
Bachelard aveva dapprima semplificato la formula di Jaspers, in modo vicino alla comparazione, nel modo seguente: "l'essere è rotondo". Vediamo bene in questo esempio per quale ragione si distingue spesso la metafora dalla comparazione precisando che essa rimpiazza il termine comparato con il primo termine della comparazione.
- L'analogia è una operazione metaforica fondata sulla trasposizione di un rapporto o di una relazione assimilabile tra i due piani. Mentre l'immagine e la metafora si unificano grazie all'identificazione, l'analogia (come la comparazione) presuppone la somiglianza del rapporto e giustappone gli elementi sulla rete testuale: il celebre esempio di Aristotele è ripreso da Perelman e Olbrechts-Tyteca. "Come il pipistrello è abbagliato dalla luce del giorno, così l'intelligenza della nostra mente è abbagliata dalle cose più evidenti".
- La comparazione secondo questi autori è una analogia in opera su due termini, e la metafora una analogia condensata. Al contrario di questa prospettiva che cerca di rinnovare la retorica tradizionale, i poeti vedono piuttosto nell'immagine una forma fondamentale di cui le altre non costituirebbero che una trasformazione. André Breton nel Manifeste du Surréalisme a questo proposito scrive:
"E' dalla vicinanza in qualche modo fortuita di due temi che scaturisce una immagine particolare, "luce dell'immagine", alla quale noi siamo infinitamente sensibili. Il valore dell'immagine dipende dalla bellezza della scintilla ottenuta; essa è per conseguenza in funzione della differenza di potenziale dell'intensità tra i due conduttori; quando questa differenza esiste appena, come nella comparazione, la scintilla non si produce affatto".
Qualunque sia il punto di vista adottato, è sufficiente per la nostra analisi comprendere che l'immagine e l'analogia esprimono due possibilità dell'operazione metaforica così come l'abbiamo definita nella sua generalità.
- Il modello metaforico trasferisce non soltanto una relazione da un piano all'altro, ma anche tutto un sistema di relazioni che appartiene al dominio concreto-figurato che esso libera sostituendolo all'analisi o all'argomentazione. Questa forma, illustrata mediante il paradigma platonico, permette ad esempio di trasferire i rapporti esistenti tra la mano dell'artigiano e i suoi strumenti al livello dei rapporti tra il corpo e l'anima.
- L'allegoria personifica l'idea mettendola in scena mediante un processo di carattere narrativo. Essa appare come una costruzione, un montaggio nell'immaginario di elementi relativi al dominio pratico, tecnico o mitico. Il "mito della caverna" segue questa forma, mentre la figura di Archimede all'inizio della seconda meditazione cartesiana sta tra l'allegoria e il simbolo che condensa concretamente l'idea che rappresenta.
- Il mito sostituisce all'analisi concettuale degli insiemi narrativi già preformati dalla tradizione o obbedienti a proprie regole di organizzazione.
- La favola sintetizza in una narrazione, o in una scena vivente di tipo aneddotico o immaginario, una costruzione astratta che una "morale" può a volte spiegare.
Non si tratta qui di costruire una tipologia a priori di operazioni testuali legati alla metaforicità, ma, mediante le precedenti definizioni, di fare in modo che siano riconoscibili le forme in cui si manifestano e le loro funzioni nei testi.

2. Funzione metaforica
2.1. Localizzazione e marcatori

Si comincerà col redigere un inventario, se necessario mediante una tabella a più colonne, di tutte le metafore presenti nel testo, rilevando accuratamente il luogo e la forma in cui si presentano, la natura dell'analisi concettuale cui sono correlate e la natura stessa dell'operazione di metaforizzazione.
La prima difficoltà consiste nel reperire e nel delimitare le operazioni che, per definizione, si innestano e si insinuano in tutte le pieghe del testo; è però possibile definire alcuni grandi tipi di manifestazioni metaforiche in funzione della presenza o dell'assenza dei marcatori.

2.1.1. Metafore in sonno, metafore latenti
La lingua, anche nell'uso più astratto che se ne possa fare in filosofia, utilizza dei supporti concreti e figurati per designare le idee generali; questo fondo di designazioni metaforiche latenti va portato alla luce, tanto più che alcune filosofie (quelle di Nietzsche, di Heidegger) sono costruite operando da vicino sulla lingua che viene forzata perché riveli le sue profondità etimologiche o "genealogiche". D'altra parte il testo filosofico non si limita a costruire le sue categorie rielaborando il linguaggio, ma è generato prendendo le distanze dalle forme di elaborazione anteriore, anche se alcune metafore attraversano la storia della filosofia e finiscono con lo svalutarsi come nell'esempio seguente, in cui sono appena percettibili: "La crudeltà è qui messa in luce come uno dei fondamenti più antichi e più essenziali della cultura" (F. Nietzsche, Ecce homo).
Le metafore di questo tipo presuppongono la presenza di una sorta di archivio "inconscio" dotato di codici precostituiti che si offrono "spontaneamente" alla scrittura filosofica e producono quindi degli effetti testuali perpetuando la presenza di discorsi dimenticati, o di false evidenze. Noi chiamiamo grado zero di metaforizzazione queste metafore consunte il cui impiego non mira ad un effetto specifico ma può produrre un effetto residuo che presuppone una dimensione intertestuale.
Va qui distinta la latenza dall'usura, perché accade che queste "metafore in sonno" siano risvegliate e finiscano col costituire un innesto metaforico che talvolta porta a riattivare il tema, come mostra questo esempio kantiano:
"(Hume) non porta alcuna nuova luce su questo tipo di conoscenza (metafisica), e tuttavia fa scoccare una scintilla dalla quale sarebbe potuta nascere la luce se egli avesse colpito uno stoppino infiammabile che, accendendosi, fosse stato con cura alimentato e mantenuto acceso" (I. Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica).
Talvolta al contrario questo innesco metaforico porta a stravolgere il tema, a spostarlo deviandolo, come vedremo fare a Nietzsche a proposito delle metafore della luce.

2.1.2. Assenza di marcatori espliciti
In moltissimi casi (ad esempio nel caso precedente) nulla prepara il lettore alla presenza della metafora. Certo vi sono degli indicatori sintattici: apposizioni, complementi, punti tra le frasi, ma senza soluzione di continuità con il livello del discorso astratto anche nel momento in cui si ha un cambiamento di registro con l'intervento delle immagini. Chiamiamo questo tipo di presenza metaforica di grado uno per distinguerla dalla forma precedente.
Il manifestarsi di queste immagini può a volte verificarsi grazie ad una metafora ormai logorata dall'uso che gioca il ruolo di innesco metaforico come nell'esempio precedente, o mediante una espressione iniziale che coniuga il senso proprio e il senso figurato, come nel seguente esempio hegeliano:
"(Secondo la maniera comune di pensare) la diversità dei sistemi filosofici non è concepita come il semplice sviluppo progressivo della verità; in questa diversità vi si vede piuttosto la contraddizione. Il bocciolo scompare al momento della fioritura, e si potrebbe dire che il bocciolo è cacciato via dal fiore: nello stesso modo all'apparire del frutto il fiore si manifesta come un falso essere della pianta, e il frutto si sostituisce al fiore come la sua verità" (G.W.F. Hegel, Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito).
L'espressione "sviluppo progressivo" annuncia la metaforizzazione perché si applica a due forme del divenire; l'espressione "cacciato via" permette di ritornare al piano di espressione iniziale, e poi di fondere i due piani per completare la serie delle trasposizioni, cioè per utilizzare le proprietà dell'universo vegetale per pensare il divenire della filosofia.
Si percepisce una netta differenza in rapporto al testo di Kant; la sua ripresa dell'immagine, infatti, è inedita, ma potrebbe essere scritta da qualsiasi filosofo (nello stesso contesto tecnico) mentre la metafora floreale è "hegeliana" nella misura in cui offre un equivalente concreto del divenire dialettico (ma può farlo proprio perché il movimento organico è esso stesso concepito in termini dialettici). Questo ci dice che la presenza delle metafore è determinata dall'interno di una determinata filosofia e che una sua manifestazione rinvia all'insieme del campo metaforico considerato.

2.1.3. Marcatori espliciti: quando l'enunciante si fa carico della metafora
- Si parla di metafora di grado due quando vi sono indicatori espliciti che ne indicano la presenza; si tratta di operatori di tipo assai diverso, in uno spettro che va dall'immagine alla comparazione: "L'uomo è questo nulla vuoto, questa notte", scrive ancora Hegel, ma si trova anche "è" "come" "così" "tale"...
- Talvolta, il fatto che l'enunciante si faccia carico della metafora mette in luce la natura dell'operazione e nello stesso tempo consente di fare un commento sul suo impiego, come nell'espressione seguente: "L'immagine che si presenta più spesso al mio spirito", "per fare un paragone"; una modalizzazione può produrre effetti aggiuntivi: "L'immagine migliore", oppure una serie di rettifiche negative come in La pensée et la mouvant di Bergson.
- Capita infine che il testo tematizzi le regole d'impiego o lo statuto dell'immagine in rapporto al concetto; questa possibilità, che rimanda al piano metametaforico (grado quattro), indica l'esistenza di un punto in cui l'elemento metaforico si esplicita filosoficamente: per studiare questo fenomeno è necessario estendere la lettura al di là di piccoli passi.
Cominciamo così a comprendere come la metafora si iscriva nella trama del testo, oscillando tra una presenza neutralizzata o al contrario fortemente marcata. In generale i testi ne fanno un uso di grado uno o due, ma i gradi più elevati sono tanto più rari quanto più degni di attenzione.
L'esempio bergsoniano de La pensée et la mouvant permetterà di prendere coscienza della ricchezza ottenuta grazie all'impiego sapientemente combinato di questi operatori.

2.2. Estensione e densità
Questi marcatori non bastano da soli a far comprendere il meccanismo della metaforizzazione, perché essi indicano il modo in cui si manifesta la metafora, ma non il posto che essa occupa nella rete del testo.

2.2.1. Estensione metaforica
Quanto al posto occupato in un passo, dobbiamo distinguere varie forme di metafora.
- La metafora puntuale limitata ad un termine, spesso un aggettivo, molto ben localizzato.
- La metafora racchiusa che forma come una parentesi, chiusa molto presto una volta chiarita in modo autonomo rispetto al testo. Tocca al lettore operare la trasposizione: per esempio nel testo di Kant prima citato comprendere che cosa significhi la scintilla in rapporto alla luce!
- La metafora dispiegata al contrario consiste nel legame di elementi metaforici coordinati tra loro mediante una sequenza di termini in serie; l'analisi non è interrotta, ma si sviluppa accompagnata da un "alone" di immagini come nel primo passo di Hegel citato, in cui i termini "alto" "basso" "chiaro" "scuro" "stato di fermentazione" duplicano le nozioni astratte e formano delle coppie di opposti collegati mediante equivalenze: alto/basso = chiaro/scuro = (puro)/in fermentazione.
- La metafora complessa, come nell'altro frammento di Hegel in cui troviamo un va e vieni tra i due registri.
I confini tra queste forme sono approssimativi perché le connessioni metaforiche possono espandersi in varie direzioni consentendo così alla metafora di tessere la sua tela - per riprendere una metafora fin troppo nota! -; questa espansione può riguardare tutto un passaggio oppure costituire una sequenza autonoma anche molto lunga, che può utilizzare un supporto narrativo come nel mito; al limite, in un libro come Così parlò Zarathustra di Nietzsche è la filosofia a muoversi nel campo della metafora, al punto che la sua forma tradizionale è capovolta.

2.2.2. Densità metaforica
L'analisi dei marcatori, delle forme in cui si manifestano e delle estensioni, permette di determinare l'importanza quantitativa dell'elemento metaforico in un determinato testo. (Vedremo che è necessario sfumare questo criterio se ad esser prese in considerazione sono gli elementi qualitativi, ad esempio la natura di ciò che viene espresso in metafora.) In questo capitolo per comodità abbiamo preso in considerazione casi assai semplici, ma il frammento di Bergson come quelli di Hegel indicano già la complessità del fenomeno perché è necessario preoccuparsi dell'insieme di metafore disseminate o articolate secondo regole che è necessario adesso chiarire. Infatti senza l'analisi dei "contenuti", è impossibile comprendere il legame tra le immagini e quali siano le loro relazioni con i processi di analisi e di argomentazione.

2.3. Studio interno del dominio metaforico
Dissociando l'immagine dalla trama astratta, è possibile ricostituire degli elementi metaforici e studiarli in se stessi, allo stesso tempo tematicamente e funzionalmente.

2.3.1. Analisi interna di un segmento metaforico
2.3.1.1. Segmento effettivo e dominio di riferimento

A volte il segmento (cioè l'insieme degli elementi di metaforizzazione effettivamente presenti nel testo) appare ben individualizzato con i suoi innesti (termini connessi), il suo nucleo con le sue eventuali espansioni, ma spesso i dati sono più complessi, le immagini si sovrappongono o si prolungano l'una sull'altra.
Chiamiamo tema metaforico l'elemento contenutistico della metafora; l'esempio prima citato di Nietzsche introduce i temi della luminosità e della fondazione architettonica all'interno del movimento stesso del pensiero; inversamente lo stesso tema luminoso può essere utilizzato in metafore differenti, sia nello stesso modo sia con varianti (come negli altri esempi citati). Rapportando il segmento reale a un segmento virtuale (costituito dall'insieme delle varianti che possono darsi sullo stesso tema), si ha il dominio dei riferimenti metaforici. E' possibile costatare che il dominio della luminosità offre alla filosofia sin dalle sue origini una tematica ricca e complessa, dal momento che si possono costruire dei segmenti metaforici sul movimento del Sole, sul fuoco o sulla rifrazione della luce; delle associazioni costanti legano queste immagini ad alcuni temi filosofici privilegiati, come quello della conoscenza mediante la luce, quello dei princìpi e del metodo per la topografia o per la "costruzione".
Ciascun dominio ha una sua propria organizzazione interna perché articola la percezione del mondo naturale o umano attraverso le proprietà semantiche della lingua, attraverso le strutturazione in forme arcaiche di tipo mitologico o in altre forme del sapere (popolari, scientifiche), e in ultimo attraverso elaborazioni filosofiche precedenti. Questo archivio metaforico non è affatto una realtà morta e il testo che vi ricorre lo fa in funzione di regole di selezione (alcuni aspetti di un dominio sono scartati) e di regole di riorganizzazione, dal momento che è necessario ridistribuire all'interno della rete discorsiva gli elementi che sono stati selezionati. Diviene quindi possibile tutto un gioco di riprese: l'utilizzazione di immagini relative al Sole non è la stessa in Platone e nell'Apocalisse, e così vedremo più avanti Nietzsche utilizzarle per sovvertire il discorso filosofico occidentale.
Ci troviamo quindi in presenza di due tipi di vincoli, a seconda che si parta dalla scrittura che dà forma al testo o dal dominio di immagini pre-strutturate che nel testo si attualizzano. Nel primo caso dobbiamo studiare il modo in cui un aspetto del processo di riflessione si sviluppa metaforicamente, mentre nel secondo dobbiamo partire da un universo di riferimenti figurati per comprendere come interferiscono con il campo concettuale.

2.3.1.2. Regole di selezione
- La selezione è sequenziale se il dominio metaforico stesso offre i processi che ordinano l'immagine in una successione temporale, in una ripartizione spaziale, in una relazione causa-effetto, ecc. Il testo conserva queste relazioni (si vedano gli esempi delle pagine precedenti), In questo modo numerosi testi metaforizzano il loro modo di esposizione o il metodo con cui procedono grazie al dominio metaforico del "cammino", ma alcuni privilegiano le difficoltà della "scalata" o del "viaggio per mare", mentre altri disegnano con precisione ampi paesaggi; per esempio Kant nella prefazione alla seconda edizione della Critica della Ragion Pura, presenta la costituzione progressiva dei differenti domini del sapere attraverso la seguente sequenza:
"Se nel lavoro che si fa sulle conoscenze che appartengono al dominio proprio della ragione si segua o no la via sicura della scienza, ebbene questo può essere ben valutato dai risultati raggiunti. Quando, dopo molti studi preliminari, si tenta di arrivare a delle conclusioni sicure e invece si cade nell'incertezza, o quando nel tentativo di raggiungerle si deve più volte tornare sui propri passi e prendere una diversa via; e quando, nello stesso modo, non è possibile mettere d'accordo diversi collaboratori sul modo in cui far avanzare il lavoro comune, ebbene allora si può esser certi che un tale studio è ben lontano dall'aver seguito il cammino sicuro della scienza e procede piuttosto alla cieca..." (I. Kant, Critica della Ragion Pura).
- La selezione connotativa disarticola l'organizzazione lineare propria di ciascun dominio mantenendone solo alcuni elementi parziali ricollegandoli ad espressioni astratte ("luce della ragione"...). Alcune costellazioni di termini sono trasferite conservando le regole semantiche che le tengono insieme; talvolta, come nel passo di Hegel prima citato, diversi domini metaforici si associano secondo alcune compatibilità semantiche.
Che la selezione sia connotativa o sequenziale, è possibile osservare che le espansioni, o metafore multiple, sono rese possibili da una sequenza effettiva sia quando i domini di riferimento sono connessi tra loro da regole di vicinanza o di interazione, sia quando i testi li associano creando sovrapposizioni o prolungamenti che danno all'impiego delle metafore un carattere generativo. Platone nell'Alcibiade maggiore incrocia luce, sguardo e specchio giocando con sottigliezza sui differenti registri della percezione luminosa; per contro Cartesio in certi passaggi delle Meditazioni passa dal cammino alla luce. La possibilità di creare nuove organizzazioni metaforiche lascia dunque al filosofo un largo margine di invenzione, anche se esse devono sempre obbedire ad alcuni grandi princìpi di strutturazione di cui adesso dobbiamo occuparci.

2.4. Molteplicità dei temi e organizzazione
Nella misura in cui numerosi testi mischiano i domini di riferimento, utilizzando sia delle concatenazioni sequenziali o connotative, sia varie forme di manifestazione o di estensione, c'è il rischio di trovarsi di fronte ad una anarchia metaforica se non si individuano regole di unificazione e di gerarchizzazione dei temi e delle forme.
Quando la metafora è ben definita (tematicamente e spazialmente) o quando la costellazione è ben strutturata, l'unità è data sia dalle regole di organizzazione del dominio sia dalle regole di costruzione del movimento del testo (tema, metodo, esposizione), che convergono e conferiscono all'uso della metafora la sua piena efficacia. Ma capita che l'immagine produca un effetto di sovraccarico che mette in crisi l'organizzazione analitico-concettuale; oppure capita che le associazioni tematiche colleghino domini tra loro incompatibili o privi di alcun rapporto. Questo testo, tratto dall'Uomo macchina, di La Mettrie, è un buon esempio di "cacofonia" metaforica:
"E' vero che tale è la vivacità delle risorse dell'immaginazione che se vi si unisce l'attenzione - questa chiave o madre delle scienze - essa potrà girare intorno e quasi sfiorare gli oggetti. Vedete questo uccello sul ramo, pronto a volare: l'immaginazione è così".
Il seguito è anche peggio e il danno è grave perché l'incoerenza metaforica getta un'ombra sull'analisi. I meccanismi che permettono di coordinare i temi e le metafore tra loro e le legano alla trama del discorso principale sono vari.

2.4.1. Parallelismo, ridondanza, complementarità
I domìni, un volta richiamati, vengono alla luce quasi simultaneamente a partire da un punto di incrocio e, per accumulazione o per approssimazione, danno forza all'effetto voluto, come in questo testo di Michel Tournier in cui la metafora organica si innesta, completandola, sulla metafora architettonica, in sé troppo statica e meccanica, conferendole l'elemento di continuità proprio del vivente:
"Io so adesso che ciascun uomo porta in sé - e come al sopra di sé - una fragile e complessa impalcatura di abitudini, di risposte riflesse, di meccanismi, di preoccupazioni, di sogni, di implicazioni, un'impalcatura che si è formata e continua a trasformarsi nel continuo contatto con i suoi simili. Privata di linfa vitale, questa delicata efflorescenza s'indebolisce e si disgrega. Altro pezzo forte del mio universo... io misuro ogni giorno ciò che gli devo registrando le nuove crepe del mio edificio" (M. Tournier, Vendredi ou les limbes du Pacifique; ci si meraviglierà forse di questa citazione di un testo letterario, ma questo passo appartiene al "log-book" di Robinson, una forma di scrittura mediante la quale l'autore articola romanzo e filosofia).

2.4.2. Lo scenario metaforico
Nell'esempio precedente l'unità è assicurata dallo svolgimento dell'auto-analisi del personaggio che medita su se stesso, ma in altri casi è il dominio metaforico a fare da principio di strutturazione del testo, come all'inizio della prefazione di Kant il cui nucleo prima citato fa da punto di partenza di ciascuno dei paragrafi che studiano una nuova forma di sapere: "Il fatto che la logica abbia seguito questo cammino sin dai tempi più antichi...", e più avanti: "La fisica giunge con maggiore lentezza a trovare la via maestra della scienza..." (I. Kant, Critica della Ragion Pura), e così via.
Chiamiamo questo procedimento costruzione di uno scenario metaforico, perché il dominio di riferimento (l'organizzazione di un viaggio e il cammino) impone i contenuti, le strutture e i processi al segmento metaforico sviluppato nel testo; consente di dare unità alla prefazione kantiana perché è in se stesso fortemente strutturato come uno scenario dotato di unità di tempo e di luogo.
Ma in altri casi lo scenario è costituito da molti elementi che appartengono a domini eterogenei che si trovano però gerarchizzati sotto un tema o una sequenza dominante.
E' questo il caso del paragrafo 343 della Gaia scienza di Nietzsche. Qui la "morte di Dio" è paragonata a un Sole che tramonta, è descritta come un'ecclissi crepuscolare che immerge il mondo europeo nella notte e nella distruzione. Questa immagine, che struttura gerarchicamente le altre, costituisce allo stesso tempo il perno attorno al quale si attua un ribaltamento di prospettiva, perché l'apocalisse si trasforma in "aurora". Questo ribaltamento è preparato da una inversione degli accoppiamenti abituali (quelli che abbiamo visto all'opera in Hegel): "crescita di questo oscuramento", "Questo oscuramento (...) piuttosto come una luce (...) una nuova aurora".
Contrariamente alle metafore solari legate dell'ascesa che si trovano in Platone, l'immagine qui è rielaborata a partire dai modelli religiosi della "fine del mondo". Questo determina degli assi collaterali da cui finiscono col partire nuove espansioni: da una parte, lo sguardo non indica la trasparenza della contemplazione teorica, ma la visione dell'iniziato o del visionario: "Chi dunque oggi ne avrà una chiara visione (...) per divenire egli stesso l'annunciatore, il profeta...". D'altra parte, l'apocalisse apre il tema della rovina e della distruzione.
Questi due temi si duplicano a loro volta per dar vita da una parte alle immagini della diversità delle età: "noi primogeniti, anticipatori dei secoli a venire...", dall'altra parte alle immagini architettoniche: "tutto questo crolla, una volta distrutta questa credenza...". Quindi in Nietzsche il ribaltamento dei valori è operato grazie allo spostamento e alla deviazione dei codici sedimentati nella storia della filosofia e nella lingua. E' ovvio che non si trovi come in Cartesio la sostituzione dei processi di "distruzione" delle opinioni con la ricerca di un fondamento: "Ricominciare tutto di nuovo, sin dalle fondamenta", perché Nietzsche non vuole offrire alcun terreno solido alla nuova costruzione, ma tutt'al più indicare un cammino pericoloso verso un altrove a mala pena pensabile; al posto di un rovesciamento della metafora architettonica abbiamo uno slittamento per contiguità di senso dal tema dell'aurora a quello del viaggio (verso la fine del frammento).
Questo testo mostra molto bene che è possibile, grazie a una unificazione di tipo scenico, figurativo, integrare in un tutto coerente temi eterogenei. Essi appartengono a domini precostituiti in modo molto forte (universi religiosi) che hanno al loro interno diverse serie di opposizioni ben definite (morte-rinascita, cecità-visione...). E infine l'unità dello scenario è accompagnata da una scansione drammatica strutturata intorno ad un rovesciamento generale: tutti questi fattori concorrono alla riuscita di questa metaforizzazione che ha inizio con la visione e scivola verso il mito, perché gli aspetti astratti sono inglobati nel campo metaforico e devono essere ricostruiti nella lettura.

2.4.3. Schema metaforico
In altri testi si trovano delle metaforizzazioni estremamente complesse, che utilizzano materiali disparati, non unificati in uno scenario o in una scena "fantasmatica" né sotto il dominio regolatore di un concetto. Ne deriva tuttavia, come nell'esempio già richiamato di Bergson, un testo allo stesso tempo fluido e coerente; a quale principio regolatore bisogna attribuire questa costruzione rigorosa? Vi si trova la presenza sotterranea di uno schema metaforico quando la coerenza e lo sviluppo della sequenza sono generati da una immagine archetipa che è, in modo indissociabile, una forma astratta; questa immagine-forma, di natura statica o dinamica, assicura il passaggio tra il regno dei concetti e quello delle immagini. Chiamandola "archetipa" non pensiamo tanto a delle determinazioni inconsce, quanto alle proprietà fondamentali del sistema di pensiero in cui sono prodotte.
Le immagini utilizzate da Bergson nella Introduzione alla metafisica sono davvero eterogenee e somigliano a un inventario alla Prévert ("un elastico", "una forza", "l'acqua", "il ghiaccio"), eppure, e indipendentemente dalla progressione apportata dalla serie di rettifiche negative, esse sono collegate mediante una serie di trasformazioni ordinate: si passa da un'immagine all'altra sfruttando una proprietà (volume, spazio, quantità, forma...), abbandonandone un'altra.
La coerenza è di ordine connotativo, ma il concatenamento degli elementi risponde alla dottrina di Bergson; gli oggetti o i supporti naturali o "di uso comune" non sono che la manifestazione di tratti allo stesso tempo iconici e astratti dipendenti di fatto per questa filosofia da una "intuizione" che non è né immagine né concetto. Tutta la serie delle rettifiche culmina in una sintesi ultima che condensa la metafora e la riflessione metametaforica.
Siamo quindi in presenza di uno schema perché tutte le immagini sono generate da una matrice che ne regola le variazioni, e questo schema è archetipo perché è generato dalla dottrina che esso stesso contribuisce a costruire. (Abbiamo osservato qualcosa di analogo nell'immagine floreale della Fenomenologia dello Spirito).
La riuscita tutto sommato eccezionale di questo testo deriva dalla forte convergenza tra i procedimenti di unificazione dell'enunciazione (progressione nella esposizione), di unificazione analitica (come la coscienza si percepisce in quanto durata) e di unificazione metaforica (presenza dello schema dinamico che lega spazio e tempo).
Mentre l'immagine hegeliana è comandata dalla definizione della dialettica, qui lo è dalla concezione bergsoniana della coscienza, che dipende dall'immagine, perché l'immagine, senza identificarvisi, "deriva" dall'intuizione. Questo, d'altronde, concorda col modo in cui Bergson pensa la creazione di un sistema filosofico a partire da una immagine organizzatrice originaria (si veda H. Bergson, L'intuition philosophique, in La pensée et la mouvant).
Le metafore nel testo filosofico non sono dunque elementi accessori, ma si innestano profondamente nel cuore della dottrina, e tanto più, naturalmente, quando più la riflessione procede a una critica del concetto; tuttavia le metafore non sono tutte dello stesso tipo e per comprendere la loro vera funzione è necessario determinare i criteri che determinano la loro importanza.

3. Funzioni della metafora nel testo filosofico
3.1. Come valutare l'importanza delle metafore?
3.1.1. Primo criterio: importanza quantitativa

Riunendo in sintesi le indicazioni date precedentemente, possiamo associare la presenza delle metafore - le forme in cui si presentano e si prolungano, i temi - con i differenti processi di riflessione che esse concorrono a modificare o a generare. Questo ci darà delle indicazione qualitative, ma troppo povere se considerate in se stesse; bisognerebbe almeno passare da un frammento a una porzione più vasta di testo per mettere in luce delle correlazioni significative tra temi filosofici e temi metaforici; è però possibile ottenere delle indicazioni preziose analizzando i tipi di operazioni testuali ai quali si rapportano. In questo modo il criterio quantitativo cede il posto a un criterio qualitativo.

3.1.2. Secondo criterio: quale aspetto dell'analisi filosofica è metaforizzato?
Tutti gli aspetti della riflessione possono essere sostituiti da immagini, tanto più che la lingua, che il filosofo elabora come abbiamo prima visto, ha essa stessa al suo interno un insieme di campi metaforici. Ma di fatto non tutto viene metaforizzato, e l'analisi degli oggetti della metafora permette di rendersene conto.
Nei passi di Kant e di Nietzsche prima esaminati la metaforizzazione riguarda aspetti fondamentali del percorso del testo. In entrambi i casi si tratta di uno sviluppo sequenziale costruito come uno scenario; ma (indipendentemente da altre differenze come la ricchezza o la povertà di immagini) la metaforizzazione riguarda elementi che le fanno assumere un'importanza cruciale in Nietzsche, meno in Kant; infatti in quest'ultimo ad essere metaforizzato è il modo dell'esposizione mentre nel primo è l'intero significato filosofico del testo ad essere dato mediante l'immagine. Questo carattere, per cui la filosofia si costituisce come "veggente" non è dissociabile dalla "visione" che essa scopre, mentre le analisi kantiane non sono metaforizzate nel loro "contenuto" ma nella loro disposizione lineare (il legame, tuttavia, non è aleatorio). Nel testo di Bergson le categorie astratte sono "rese" metaforicamente, ma la struttura espositiva non è in quanto tale di tipo figurativo (è piuttosto modulata da rettificazioni che dipendono dal percorso dell'enunciazione). Nell'esempio più volte citato di Hegel, l'analisi è condotta mediante un procedimento polemico, le metafore si inframmezzano agli operatori enunciativi e le distinzioni concettuali.
Proseguendo questa ricerca verranno determinate su un'opera o su un testo le correlazioni regolari tra campo metaforico e campo concettuale.

3.1.3. Terzo criterio: regolazione metaforica o concettuale?
Nel capitolo precedente abbiamo potuto osservare come la dinamica e la strutturazione del testo siano assicurate da molteplici elementi: tutti vi concorrono, ma c'è una operazione dominante che costituisce il supporto fondamentale del percorso del testo: distinzioni che portano a definizioni, costruzione sullo sfondo dello scenario enunciativo, argomentazione, ecc. Questa posizione di dominanza può ben essere tenuta dalla metafora. Infatti il secondo criterio mostra che essa può sostituire un livello qualsiasi del discorso, e questo significa che ogni operazione di riflessione può senz'altro essere sostituita da una metafora. Per conseguenza si possono dare dei casi in cui tutte queste operazioni, o la maggior parte, siano metaforizzate. I frammenti di Nietzsche, e di Bergson in minor parte, costituiscono dei buoni esempi in cui l'elemento metaforico assicura l'integrazione dinamica degli elementi costitutivi del testo. E' importante comprendere che l'analisi di tipo concettuale astratto si trova essa stesa sottoposta, o integrata, nel sistema dei vincoli metaforici, al punto che si può parlare di una regolazione metaforica dell'elemento concettuale e, in certi limitati casi, dell'assorbimento dell'uno nell'altro.
Alcuni passaggi riservano quindi un posto estremamente importante alla metafora, e il lettore deve notare attentamente le variazioni quando passa da un tipo di dominante all'altro: per esempio Bergson dopo la serie delle tappe metaforiche, passa ad un elemento dominante astratto costruito mediante la messa in campo di enunciazioni come: "Si adatterà...", "Ma bisognerà ancora..." (queste espressioni costituiscono d'altra parte una ripresa della formula che si trova all'inizio di un passo di La pensée et le mouvant: "Quando rivolgo lo sguardo sulla mia persona, supposta inattiva, ..."). Un frammento o un testo molto più lungo può essere completamente dominato da una pregnanza metaforica, il che determina problemi quanto allo statuto filosofico del testo.

3.1.4. Quarto criterio: statuto filosofico della metafora
Man mano che avanziamo nella determinazione di questi criteri, diventa chiaro che non possiamo accostarci allo statuto testuale della metafora senza prendere in considerazione il suo statuto filosofico all'interno della dottrina studiata. Infatti in funzione dello statuto ontologico o gnoseologico che un autore dà all'immagine o al linguaggio, il funzionamento, l'importanza e le funzioni della metafora cambiano. Quindi, l'uso delle metafore non è mai neutro, ma sempre filosoficamente determinato.
Questo rapporto tra l'impiego, le regole dell'impiego e lo statuto generale, è raramente dato simultaneamente come accade nel testo di Bergson, e per studiarlo è necessario aver già localizzato i fattori estranei alla dottrina. Bisognerà guardarsi dal generalizzare frettolosamente l'importanza rispettiva dell'uso delle metafore e del loro statuto, perché se è vero che la proliferazione metaforica in Nietzsche è comandata dallo statuto che egli stesso le assegna in rapporto al concetto, vi sono filosofi come Bachelard o come Bergson che danno uno statuto teorico privilegiato alla metafora, senza che tutti i loro testi ne siano completamente saturati.

3.1.5. Prove sul grado di aleatorietà delle metafore
A partire dai criteri precedenti, proveremo a fare sul testo una serie di variazioni per determinare il grado di contingenza o di necessità del ricorso alla metafora.
- Prova di eliminazione: consiste nel tentare di sopprimere sistematicamente gli innesti metaforici, le espansioni e tutte le tracce della sequenza metaforica (il che può sembrare più semplice quando questa è lineare e circoscritta all'interno del discorso che quando è diffusa e connotativa). Se l'eliminazione non altera l'analisi (mediante qualche aggiustamento sintattico) la metafora ha un grado debole di necessità, è ridondante o complementare. Se l'eliminazione al contrario disaggrega la riflessione, allora essa costituisce un passaggio necessario.
- Prova di traduzione: quando è possibile trasporre la metafora nei termini astratti della dottrina, essa è fortemente aleatoria e costituisce un sostituto dell'elemento concettuale. Quando la traduzione si rivela impossibile, il ricorso alla metafora costituisce il solo mezzo di espressione adeguato. La rottura metaforica indica allora un al di qua o un al di là del linguaggio.
- Prova di sostituzione tematica: le immagini non sono sempre isolate, ma si accumulano e sembrano talvolta duplicarsi; una figurazione può dunque essere sostituita da un'altra all'interno di una metaforizzazione, e questo indica allora una debole necessità tematica; sostituendo così i domìni metaforici, si costituiranno delle classi di equivalenza metaforica, e alcune regole di trasformazione collegheranno i domini in sotto-insiemi compatibili tra loro (questo, però, presuppone che si consideri un insieme testuale di notevole importanza).
Questo lavoro può essere fatto anche per le metafore isolate. Ora, al contrario che in queste approssimazioni tematiche, è talvolta impossibile sostituire un contenuto all'altro, e così si ha una forte necessità tematica che conferisce alla metafora la dimensione della visione. Così nel testo di George Bataille che sarà citato più avanti l'estasi erotica non può essere rappresentata se non mediante l'immagine dell'acqua, il che è ugualmente vero d'altra parte per numerose espressioni del sentimento religioso.
Queste prove permettono di ottenere una valutazione chiara dell'importanza dell'uso delle metafore all'interno delle analisi filosofiche; si può osservare facilmente che esse permettono di ridefinire i criteri; se è possibile procedere all'eliminazione, alla sostituzione tematica, alla traduzione, il regime metaforico si trova fortemente subordinato all'astrazione concettuale e argomentativa, in caso contrario la scrittura filosofica tende al poetico o al mistico.
Ma a fianco di questi due casi estremi che fanno della metafora un accessorio facoltativo o al contrario l'unica risorsa del pensiero, altre forme derivano dall'incrocio dei criteri di aleatorietà. Le diverse combinazioni che ne nascono ci serviranno da filo conduttore per passare dallo studio dell'importanza all'analisi della funzione delle metafore. Infatti non è sufficiente riconoscere il carattere aleatorio di un passaggio metaforico per comprenderne il significato, perché se è vero che la metafora è sempre filosoficamente determinata, non può dipendere semplicemente dall'inventiva dell'autore; l'aleatorietà non è arbitrio, ma il risultato di una regola di composizione interna alla dottrina riguardo ai suoi modi di espressione e di esposizione.

3.2. Funzione filosofica dell'uso della metafora
3.2.1. Mediazione intradiscorsiva: metafora integratrice

Applicando i criteri precedenti noi comprendiamo perché la filosofia utilizzi una determinata metafora. Quando l'insieme dei criteri e delle prove sulla aleatorietà coincidono, si tratta di un impiego omogeneo fortemente caratterizzato. L'impiego quantitativo è debole, solo alcuni aspetti della trama discorsiva sono metaforizzati, l'elemento dominante non è quello metaforico, la necessità di ricorrervi è debole. Si tratta di un uso che somiglia a quello che gli antichi assegnavano alla metafora: "insegnare, piacere, commuovere". In questo caso si suppone che il suo impiego sia in qualche modo estrinseco alla dottrina, l'analisi rivela che ci si trova in presenza di elementi retorici tutto sommato di secondaria importanza.
Tuttavia le metafore, anche quando la loro funzione è debole, appartengono comunque in senso proprio alle forme del discorso filosofico; l'immagine è comunque determinata nella sua forma e nel suo uso dal livello teorico della dottrina.
L'immagine costituisce la traduzione in realtà di un elemento virtuale del sistema che deve esplicitarsi nei tempi del discorso, e si costruisce in uno spazio enunciativo che include, o presuppone come limite, la presenza dell'altro. Essa è dunque uno dei modi di dispiegamento dei "contenuti" filosofici, che si realizza attraverso forme espressive differenti (che vanno dal tentativo di astrazione pura fino all'"ingorgo" delle metafore come mostra il testo di La Mettrie). La forma espressiva metaforica è in questo caso debole dal punto di vista dell'astrazione, è una tappa provvisoria, poiché è riassorbita all'interno del percorso filosofico. Essa collega la dottrina da un lato con i suoi destinatari (funzione didattica e pedagogica), dall'altro con i vincoli imposti dalla scrittura con la sua logica spaziale lineare (funzioni di "ornamento" e di persuasione). Ne siamo certi perché in quest'uso è possibile decodificare la metafora nei termini stessi del sistema, trovare un "luogo" (precedente o seguente) in cui è presente la decodifica per individuare la presenza di una teorizzazione dell'elemento metaforico in generale.
Così nel Discorso sul metodo le immagini di un cammino ben programmato, benché radicate in profondità nell'elemento biografico o storico, sono propriamente filosofiche e sono dotate di una funzione integratrice, dal momento che sono legittimate e concettualmente "costruite", in particolare nella regola III (Parte II): "Condurre con ordine i miei pensieri, cominciando dagli oggetti più semplici e più facili da conoscere per risalire a poco a poco, come per gradi, verso le conoscenze più complesse".
E, inversamente, tutti i riferimenti a una progressione metodica possono essere autorizzati da questa regola poiché la progressione comprende in sé come sostrato concreto alcuni elementi ("cominciando", "risalire a poco a poco", "come per gradi") che appartengono al dominio del cammino ascensionale. Il tema associato del passaggio dall'oscurità alla luce ha le stesse caratteristiche, visto che la teoria dell'evidenza costituisce allo stesso tempo la base fondamentale della metafora della luce e il suo punto di legittimità per gli usi che si trovano un po' in tutto il testo (si vedano le Meditazioni). La dimensione temporale è presente perché - prima ancora che la regola, o la teoria dell'evidenza razionale siano rese esplicite - le metafore operano mediante anticipazioni (funzionando quindi bene come sostituti del concetto). La funzione didattica è resa possibile dalla traduzione in forme espressive legate alle immagini di un "contenuto" che non sarà accessibile se non più avanti. Così la circolarità espressiva e temporale permette di integrare il lettore nel percorso richiesto dalla lettura e nel processo di elaborazione delle tesi prima ancora che egli possa rendersene conto senza sotterfugi, perché il sistema genera razionalmente la sua composizione e i suoi livelli di espressione.
Analoghi esempi si trovano in Spinoza o in Hegel (si può fare lo stesso lavoro riguardo alle metafore floreali incontrate in Hegel).

3.2.2. Mediazione extradiscoriva: la metafora come disintegratrice del discorso e tappa per l'indicibile
Al contrario, quando è impossibile sostituire, eliminare o tradurre le metafore e, d'altra parte, i criteri d'importanza concordano nell'attribuire loro un ruolo privilegiato, esse non costituiscono più una mediazione interna al dispiegamento di una dottrina nella scrittura; esse operano come rottura dell'ordine del discorso e aprono a regioni dell'essere o a forme di esperienza inaccessibili per altre vie. Nel testo di Bataille la potenza evocatrice della metafora è tale che sembra impossibile sostituirla o tradurla; e quanto meno i commenti e le note non possono costituire che una forma di espressione di grado più basso e inadeguata. Al contrario del caso precedente, sono l'estasi o la visione a cristallizzarsi nell'immagine, visto che essa costituisce una fonte per ulteriori metaforizzazioni o per tentativi di spiegazioni astratte:
"La verità dell'amore esige certo la violenza dell'abbraccio dato senza riguardo, ma essa non appare che per caso, nella trasparenza del riposo. L'immagine che si presenta più spesso al mio spirito è quella di un lago, quella di un oggetto che non è mai isolabile come oggetto, perché le sue acque scorrono via, la loro superficie è il riflesso del cielo, i suoi fondi melmosi richiamano la dolcezza invisibile delle profondità che degradano lentamente, i suoi bordi rocciosi si cancellano nella luminosità dell'aria. Tutta intera, la verità dell'amore è sospesa in questi momenti di quiete di cui non riusciamo a cogliere il limite".
Il testo di Bataille fa emergere l'immagine a partire da un innesto enunciativo; l'immagine, dopo, si sviluppa entro una parentesi prima di una ripresa che la commenta; in Bergson o in Nietzsche invece è una immagine originaria che fa da luogo d'origine per un insieme metaforico complesso strutturato in superficie mediante uno scenario o uno schema. In un lungo testo di Ecce homo, dedicato alle condizioni in cui fu scritto lo Zarathustra, Nietzsche afferma che tutto il testo ha preso origine da una visione indicibile, che tuttavia si traduce "esattamente" nell'immagine: "La Parola, i tesori della parola si aprono per dire "l'essere", ogni "divenire" vuol farsi parola perché tu ne possa parlare" (si veda a questo proposito la prefazione davvero interessante di Geneviève Blanqui a Così parlò Zarathustra nell'edizione bilingue Aubier-Flammarion).
Ma questa visione a dimensione "profetica" si esprime attraverso forme "letterarie" ("poema filosofico", recita la prefazione), mentre la scrittura bergsoniana anche se tutta innervata di immagini rimane nella forma tradizionale di esposizione della filosofia.
In questa mediazione metaforica che apre il discorso verso un'alterità radicale noi troviamo le caratteristiche inverse del tipo precedente, perché non soltanto l'immagine è fonte dispensatrice di senso, ma essa stessa costituisce un criterio di interpretazione per tutte le forme astratte che sono quindi poste ai margini o relativizzate (si veda il metodo di interpretazione di questi due filosofi riguardo alla metafisica).
In numerosissimi casi non si ottengono tre prove di aleatorietà omogenee, né criteri d'importanza significativi, e questo ci porta a pensare a delle funzioni intermedie e a cercare di chiarirle, anche se in definitiva sono dipendenti dalle precedenti. Talvolta possiamo procedere alla traduzione ma non alla sostituzione: l'immagine è ben utilizzata in una delle sue proprietà essenziali; talvolta al contrario il tema è aleatorio ma l'eliminazione impossibile. La metafora non è allora né una deviazione interna né una frattura, non opera sul linguaggio impiegato dal filosofo o sulla costruzione dello spazio "di opinione", ma costituisce un momento indispensabile dell'analisi.

3.2.3. Funzione euristica della modellizzazione metaforica
La metafora è utilizzata qui come strumento di scoperta; passando attraverso il piano della concretezza mediante le immagini si spera di ottenere delle indicazioni da cui si trarrà un beneficio nell'astrazione. Si può parlare di funzione modellizzante quando il nucleo dell'immagine e le sue estensioni sequenziali offrono dei tratti caratteristici trasferibili per analogia al piano concettuale. Il trasferimento è euristico quando otteniamo mediante la trasposizione una determinazione di particolarità precedentemente non note. La metafora costituisce qui un passaggio obbligato nel processo stesso dell'analisi filosofica; non conoscendo le caratteristiche della coscienza noi le vedremo secondo Bergson delinearsi mediante le immagini dell'acqua (rapporto tra una crosta gelata e il movimento dell'acqua sotto la crosta).
Gli strumenti sono diversi - immagini, metafore propriamente dette - ma con tutta evidenza è l'analogia ad essere privilegiata: uno dei termini del rapporto non è noto, ma a sta a b come c sta a d... Tutte le forme dell'analogia prendono la forma di ragionamenti. Nel caso del platonismo divengono procedimenti-tipo (è anche vero però che ragioni interne alla dottrina platonica giustificano questo impiego: si veda V. Goldschmidt, Le paradigme dans la dialectique platonicienne). Platone nell'Alcibiade maggiore (129 d/e), per determinare la natura del "sé essenziale dell'uomo" introduce un piano di riferimento concreto presentato mediante immagini. La sua evidenza è data dal carattere non problematico dei gesti e dei saperi quotidiani: le proprietà del rapporto che la mano dell'artigiano ha con l'utensile sono studiate per inferirne le relazioni tra l'essenza dell'uomo e il corpo, e da questo si conclude che mancando queste proprietà l'essenza dell'uomo non può essere che l'anima. L'interesse di questo paradigma nasce dall'estendere a un piano di analisi che si dimostra fertile tutti gli aspetti del modello, grazie a un duplice trasferimento: quello delle caratteristiche o delle distinzioni, ma anche quello dell'evidenza di un livello di cui l'altro si appropria a sua volta.

3.2.4. Funzione eristica: metafora dimostrativa
In quest'uso la metaforicità non è utilizzata come procedimento per l'analisi filosofica, ma per rinforzare l'evidenza di una tesi o la validità di un ragionamento.
All'inizio del Trattato sull'emendazione dell'intelletto Spinoza, contro coloro che pretendono che la ricerca di un metodo sia impossibile perché questo presupporrebbe già un metodo e così all'infinito, obietta che "qui è come quando si tratta di strumenti materiali a proposito dei quali si potrebbe argomentare nello stesso modo". Dimostra quindi che non c'è regressione all'infinito su questo piano, che con tutta evidenza c'è stato bisogno di un inizio; quindi trasferisce: "nello stesso modo l'intelletto per la sua innata potenza si forma degli strumenti intellettuali".
In questo esempio l'analogia permette di costruire il ragionamento di cui costituisce un momento, mentre nell'esempio del paradigma platonico era il ragionamento a permettere di concludere con l'analogia.
Queste analisi mettono in luce la polivalenza funzionale della metafora all'interno del testo filosofico; il suo ruolo può essere importante o secondario, ma non è mai estrinseco rispetto alla costruzione del testo, è profondamente legato alla sua elaborazione e alla sua espansione. La metafora ha dunque un interesse particolare per l'analisi perché essa costituisce qualcosa di fondamentale nella definizione della filosofia come linguaggio.

3.3. Significato generale della metafora filosofica
La metafora gioca dunque un ruolo strutturale all'interno del discorso filosofico, sia che questo venga costruito tentando di dominarla sia che essa sia il centro generatore del testo.
In questi due tipi di uso, la metafora costituisce una fonte di tensione interna alla filosofia, fattore di creazione che demoltiplica i piani di espressione ma anche fattore di rischio di disintegrazione del testo minacciato di incoerenza verbale, costretto al silenzio.

3.3.1. La metafora come rischio
- Uso governato, uso ingovernabile?
La tradizione dominante nella filosofia occidentale consiste nel relativizzare l'uso delle immagini e nel regolarne l'impiego mediante la dipendenza nei riguardi del sistema. Ma queste filosofie vedono compromesso il loro sogno di un dominio completo a causa del rischio di una sovversione metaforica dell'elemento concettuale.
Infatti l'astrazione non può essere raggiunta se non attraverso le forme che fanno da supporto all'analisi filosofica e sono ad un grado inferiore di astrazione; d'altro canto come la lingua e l'uso che se ne fa portano con sé necessariamente delle metafore latenti così il filosofo deve senza sosta tendere ad una "purificazione" che depuri l'immagini o la assoggetti.
Solo la formalizzazione potrebbe liberarci da questa difficoltà - e il pensiero va al progetto di Leibniz -, ma noi abbiamo visto nei capitoli precedenti che il processo di astrazione trova il proprio limite nel rischio di una perdita di senso.
- Il funzionamento della metafora trasgredisce le regole della costruzione filosofica e rischia di dar valore a ciò contro cui la filosofia combatte.
La logica della metafora dipende dall'elemento simbolico, apre un mondo di corrispondenze e di analogie, mentre la concettualizzazione dimostrativa scarta la polisemia e le connessioni instabili. La metafora prolifera su se stessa, ciascuna immagine genera al tre immagini e sciama per tutto il testo. Questa proliferazione rischia di interrompere la catena argomentativa e di produrre effetti parassitari. Infatti la sostituibilità tematica, costruita su classi di equivalenza relativamente imprecise, può indurre degli effetti ontologici perversi operando su domini mal assortiti tra loro e in contraddizione con l'analisi. E' proprio certo che Nietzsche sovverta la morale occidentale utilizzando l'immaginario religioso, o al contrario il suo stesso pensiero è limitato dalle connotazioni implicite a questi rimandi metaforici?
- La filosofia come denigrazione della metafora
Abbiamo prima osservato che i filosofi tentano di rimediare a questi rischi mediante procedure di integrazione che subordinano l'immagine alla costruzione delle tesi; tuttavia così facendo essi non respingono semplicemente il problema?
Infatti la metafora produce uno scarto proprio mentre accosta piani inizialmente eterogenei; per tenere sotto controllo lo scarto generato dalla serie infinita delle approssimazioni immaginate sarebbe necessario unificare le immagini. Ma, tra la visione e la sua espressione, noi cadiamo in ciò che sarebbe necessario evitare. La filosofia è presa nella vertigine di questo dilemma: da una parte controllare la metafora - e il solo modo di controllarla davvero sarebbe eliminarla, e questo è impossibile - dall'altra accettarla, a rischio di vedere dissolversi il campo concettuale.
La soluzione generalmente adottata consiste nel cercare di catturare la dinamica creativa della metafora, bloccando i suoi effetti perversi: essa è disseminata nel testo, ma c'è anche un chiarimento teorico sulla liceità del suo uso. Il problema tuttavia si ripresenta perché in questo movimento, mediante il quale la filosofia vuol controllare la metafora, è essa stessa a divenire metafora dell'essere che il sistema pretende di significare.
- Dalla metafora alla sfera della poesia
Si comprende allora perché tutte le decostruzioni contemporanee della metafisica attribuiscano un ruolo privilegiato alla metafora, come del resto fanno tutte le forme di irrazionalismo. La metafora permette di svalutare il discorso astratto e allo stesso tempo di instaurare un nuovo rapporto tra l'essere e il dire. Tuttavia questo privilegio riservato all'immagine comporta chiaramente un rischio distruttivo.
Innanzitutto il rischio di sovversione della metafora da parte del concetto. Nelle filosofie speculative si può sempre tradurre il campo metaforico nel dominio concettuale, e ci si può domandare se nelle filosofie dell'immagine l'inverso non sia ugualmente vero. Le reinterpretazioni, i commenti, implicano sempre un rischio di perdita di senso, ma non sono allo stesso tempo la condizione del senso? A partire dal momento in cui si accetta il "compromesso" del linguaggio ci si fa anche carico delle sue caratteristiche; ora la tendenza all'astrazione è tanto interna al linguaggio quanto la metafora.
D'altra parte l'immagine non è mai pura né totalmente originale, e il suo impiego rischia di portare ad un "contenuto" molto meno originale di quanto non appaia: l'immagine del lago legata all'estasi è uno stereotipo, il racconto costruito da Nietzsche sulla ispirazione dello Zarathustra è esso stesso una ricostruzione che utilizza gli elementi abituali della visione poetica o profetica. A seconda dei codici utilizzati, vi sono determinate regole che presiedono alla scrittura metaforica: la metafora quindi non avrebbe la pretesa di esprimere una esperienza unica. D'altra parte questi codici, come i meccanismi che presiedono alla loro produzione e alla loro interazione, sono descritti secondo prospettive antropologiche (cfr. i lavori di Gilbert Durand), psicologiche (Freud, Jung), o filosofiche (Bergson, Bachelard nella sua Poetica, Bataille); ora tutti questi testi analizzano non metaforicamente lo statuto della metafora, e questo indica bene che essa non è dissociabile dagli elementi metametaforici che la esplicitano.
Infine la visione metaforica del mondo costituisce un vero e proprio modo della intelligibilità del reale, e anche se storicamente la filosofia se ne è dissociata, sembrerebbe proprio che sia errato farne due approcci antinomici. La filosofia rielabora degli strati di senso precostituiti, stabilisce delle differenziazioni interne tra gradi di astrazione, quindi torna sulla metafora che costituisce il sistema stesso alla sua origine (è questo in fondo lo statuto del "Sapere assoluto" in Hegel).
A meno che, ed è il secondo rischio in questa prospettiva, la metafora non si dissolva nel silenzio dell'estasi. Infatti per evitare la contaminazione dell'immagine da parte del concetto, questi filosofi cercano una forma di espressione che coincida con l'esperienza ineffabile. Ora le parole sono sempre "di troppo" e tradiscono mentre traducono, come se l'eterogeneità radicale tra l'essere e il dire non potesse mai essere colmata: in questa prospettiva si oscilla tra la tentazione del silenzio e quella di una serie infinita di "metafore delle metafore". Tra le parole senza il pensiero e il pensiero senza le parole è possibile scegliere?
Rimane da trovare una forma appropriata di linguaggio che permetta alla mediazione dell'immagine di stabilirsi tra l'indicibile e la degenerazione verbale. E' la poesia ad avere il grande privilegio di sostituire la troppo debole concettualizzazione filosofica: essa assicurerà, al di là di tutte le oscurità metafisiche, una rivelazione dell'essere che d'altra parte agli occhi di questi pensatori si dà in modo originario mediante la poesia (si veda a questo riguardo il triangolo Parmenide, Heidegger, René Char).
In quest'ottica generale il testo si struttura sul fondo della sua propria impossibilità, e l'oscillazione poetica, profetica o mistica può significare tanto la fine della filosofia quanto una opportunità per il suo rinnovamento.
La presenza della metafora nel seno della filosofia indica allo stesso tempo i suoi limiti: se in un caso la metafora destabilizza l'elemento concettuale, nell'altro è l'astrazione che opera sull'immagine; il che dovrebbe obbligarci a relativizzare questa opposizione che riguarda meno due poli irriducibili che l'espressione di una proprietà ancora più profonda.

3.3.2. La metafora come opportunità. Il suo ruolo nella costruzione filosofica
I capitoli precedenti hanno mostrato che il riferimento al mondo, la costruzione di un modello d'intelligibilità che renda conto della propria diversità, e la produzione di un discorso che si faccia carico di assicurarne l'espressione, si realizzano grazie all'utilizzazione di certe particolarità offerte dalla lingua, sulle quali la filosofia e ciascuna filosofia costruiscono un sistema di operazioni specifiche. Queste danno un'importanza preponderante alla costruzione di tesi fondate su concetti e corroborate da dimostrazioni. L'utilizzazione delle metafore contribuisce alla messa in opera di questa trama testuale, e in certi casi ne è la base. Le metafore giocano dunque un triplice ruolo: ontologico, espressivo e creativo.
- Ontologia e riferimento obliquo
Nella misura in cui i segmenti metaforici selezionano elementi tratti dai domini di riferimento metaforici, trasferiscono all'interno del discorso filosofico i riferimenti costruiti da questi domini. Lo statuto ontologico di questi mondi virtuali è ambiguo perché essi oscillano tra l'essere dei mondi-possibili - quasi collocati nell'immaginario come l'apocalisse di Nietzsche - e l'essere dei mondi-reali, istituiti mediante un effetto di realtà come le immagini del cammino che abbiamo trovato in Cartesio e in Kant. Ma (e questo distingue la metafora dall'esempio e dal caso singolo) che i riferimenti al mondo metaforico siano posti nell'immaginario o in una "realtà", essi sono sempre dissociati rispetto al mondo della effettiva realtà a cui mira il linguaggio. In un caso si danno come "surrealtà" e bisogna tradurli per comprendere a cosa mira lo scrittore, nell'altro caso come "surrogato" di un mondo possibile che è parte del nostro, certo, ma che non entra nel sistema di riferimenti costruito mediante la concettualizzazione.
Qui parliamo tuttavia di riferimenti obliqui o indiretti, perché questo orizzonte ontologico si aggiunge, senza che si possa sempre discernerlo veramente come tale, al sistema dei riferimenti concettuali. Questo pone il problema delle compatibilità e delle interferenze tra i due piani, problema che nei capitoli precedenti si è posto riguardo allo statuto degli esempi.
Nelle filosofie del concetto, la potenza integratrice della riflessione è direttamente messa in gioco, perché a fianco del reale reso pensabile mediante le categorie non dovrebbe esservi posto per alcuna integrazione marginale. Infatti le filosofie sistematiche determinano una chiusura ontologica, perché se l'elemento metaforico è dominato dall'interno mediante i dispositivi propri della dottrina, l'ontologia residua di cui la metafora è il veicolo deve essere comunque ricompresa nell'ontologia generale del sistema (come abbiamo prima visto, lo sviluppo che va dal bocciolo al frutto in Hegel è effettivamente riconducibile all'interno dell'analisi dell'essere-in-divenire).
Nelle filosofie che privilegiano la metafora, queste costituiscono l'operatore di riferimento privilegiato nella misura in cui esse tendono a ridurre la distanza che il linguaggio crea tra l'essere (qualunque cosa si intenda con questo termine) e noi. L'immagine offre non una indicazione come farebbe una definizione ostensiva, ma è essa stessa, in un certo senso, ciò che viene designato. Nel caso precedente il ricorso alla metafora si fa a rischio della perdita dell'essere che essa cerca di afferrare, mentre qui è l'essere a darsi nella forma del linguaggio, ma senza quel sistema di rimandi necessario perché sia assicurata una presa ontologica definitiva; ciò che non può essere detto si mostra a mala pena, si presenta nella "grazia" di una visione o di un'estasi fuggitiva.
- Espressività metaforica
Nella misura in cui la metafora traspone le proprietà da un piano all'altro e se, d'altra parte, all'interno del campo metaforico sono possibili delle sostituzioni, la metafora finisce coll'assumere una funzione di traduzione multidirezionale come se costituisse un ponte attraverso cui forme espressive eterogenee possono convertirsi l'una nell'altra e scambiarsi le loro proprietà.
Questa funzione si distingue tuttavia dalle forme di espressione che assicurano le relazioni di equivalenza tra concetti o tra schemi di pensiero, perché queste ultime sono rette da proprietà esplicite della dottrina che utilizza "la" logica e la sua logica, mentre l'espressione metaforica procede per approssimazioni, associazioni o contiguità. Questo fatto introduce un coefficiente di variazione interpretativa pericoloso se lo scarto si approfondisce, o se tutte le forme si equivalgono, perché in entrambi i casi si rischia di giungere all'annullamento del senso.
Al contrario delle proprietà metalinguistiche che permettono alla filosofia di costruire strati gerarchici che "traducono" in termini di costruzione astratta i dati del livello inferiore, la metaforizzazione costruisce delle traslazioni analogiche che si incrociano con le precedenti e contribuiscono all'espressività complessiva generale del sistema.
Che sia mediatrice dell'essere verso il discorso o del discorso verso l'essere, o ancora mediatrice tra due parti, due livelli o due forme del discorso, la metafora acquisisce un'importanza fondamentale per la comprensione del testo filosofico; ma si comprende attraverso queste indicazioni che la funzione che essa gioca in un frammento del testo è difficilmente percepibile, quanto meno in profondità, senza fare riferimento all'insieme del campo metaforico posto nell'unità complessiva del testo (capitolo, libro). In effetti, se un passaggio dell'opera può costituire una unità di lettura, ma metafora non costituisce un'unità in sé: lo diventa soltanto al livello d'insieme più ampio di cui solo una teoria generale della metafora può rendere conto.


[*] Il testo riproduce il quarto capitolo del saggio di F. Cossutta,   Elementi per la lettura dei testi filosofici, Calderini, Bologna 1999 (ed. or.: Elements pour la lecture des textes philosophiques, Bordas, Paris 1989). L'indice del volume è il seguente:
- Capitolo 1    La scena filosofica
- Capitolo 2    Il concetto filosofico
- Capitolo 3    La referenza: dal concetto all'esempio
- Capitolo 4    La funzione delle metafore nei testi filosofici 
- Capitolo 5    Strategia discorsiva e argomentazione
- Capitolo 6    Unità e coerenza del testo filosofico

Il testo di questo capitolo è qui presentato senza note e senza alcune lunghe citazioni. Del volume è disponibile nel Giardino dei Pensieri anche il capitolo 2, Il concetto filosofico

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