Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

mercoledì 6 novembre 2013

La programmazione nella materia scolastica Filosofia

Da "http://www.ilgiardinodeipensieri.eu/CLASSIFICAZIONEFT.HTM" :


La programmazione nella materia scolastica Filosofia*
Il pensiero a più dimensioni

E’ desiderabile educare gli allievi a molte forme del pensiero?
La risposta a questa domanda è importante per il professore di filosofia al fine di impostare la propria programmazione. Se si risponde positivamente occorrerà infatti prevedere un’azione didattica che consenta questo tipo di educazione del pensiero. Se si scelgono impostazioni dell’azione didattica che non la consentono, la risposta alla domanda è negativa, per quanti sforzi retorici si siano fatti per dire che la propria risposta era positiva.
Scrivo questo perché
- gli studi sulla didattica della filosofia (approfonditi in Francia e altrove, ma ormai assai scarsi in Italia, stando alla quasi completa stasi delle pubblicazioni in merito) mostrano che la sola presentazione del pensiero filosofico agli allievi non è sufficiente per educarli alle molte forme di pensiero che la tradizione filosofica ha elaborato;
- le verifiche basate su interrogazioni o questionari, se usate da sole, poiché possono essere svolte al meglio con una uniformità di forme espressive e di forme del pensiero: non implicano la necessità di ricorrere a diverse forme del pensiero.
I professori di filosofia che basano la loro programmazione su una sequenza seriale di spiegazioni (presentazione del pensiero filosofico agli allievi) e verifiche (accertamento che questo pensiero filosofico, nella forma in cui è stato presentato, è stato studiato e compreso) rispondono quindi implicitamente di no alla domanda posta.

Ci sono ragioni per cui educare a molte forme del pensiero non è desiderabile?
Ci sono in effetti ragioni forti per cui molti professori (almeno stando alla rete delle mie conoscenze personali e professionali) non considerano desiderabile questa forma di educazione. Descriverò adesso in sintesi non quanto trovo in letteratura (dove si trovano per lo più ragioni a favore), ma quanto mi dicono i colleghi a cui in molte occasioni ho chiesto cosa ne pensassero su questo tema. Ecco in sintesi le loro ragioni contro una educazione a molte forme del pensiero:
- una prima ragione riguarda l’identità della filosofia, che (mi si ricorda molto spesso) è caratterizzata dal logos, dal pensiero razionale, contro altre forme di pensiero; l’educazione a queste altre forme viene quindi considerata una vera e propria abdicazione al ruolo del pensiero filosofico così come si è strutturato nel corso dei millenni in occidente; non posso essere più preciso nel descrivere che cosa debba intendersi esattamente per "pensiero razionale", espressione proposta come traduzione del greco logos, perché è cosa data per scontata – arma polemica piuttosto che strumento di analisi nel contesto di un dialogo;
- altre ragioni riguardano la didattica: una netta preclusione è posta contro le forme di pensiero che implicano creatività, o ricorso all’immaginazione, per l’impossibilità di controllare che cosa effettivamente lo studente sa attraverso verifiche concrete e oggettive che non possono essere superate se l’allievo non ha studiato (così vengono presentate le interrogazioni e i questionari); forme di pensiero di questo tipo richiedono infatti anche altri tipi di prove di verifica; inoltre l’educazione a molte forme di pensiero implica da parte del professore la messa in valore di stili cognitivi diversi, nonché pratiche di lavoro filosofico che sono affini a quelle descritte nei testi filosofici (e per lo più derivate da essi), ma assai poco compatibili con la sequenza seriale spiegazione-verifica.
In estrema sintesi: molti colleghi (ripeto: molti tra quelli con cui ho avuto occasione di dialogare su questi temi) temono di smarrire lo specifico della filosofica e di perdere il controllo dei processi (verificabili) di apprendimento. Temono inoltre di dovere modificare la loro professionalità docente, per la necessità di modificare le pratiche di insegnamento su terreni difficili da controllare come la pluralità delle forme del pensiero.

Una scelta politica
Chi scrive ha in passato sostenuto in molte occasione la serietà di queste ragioni contro l’educazione a molte forme del pensiero, e ne ha aggiunta una personale che proporrò mediante una breve sequenza:
- se educhi qualcuno ad essere libero, nel caso la tua azione educativa abbia successo l’allievo sarà più libero
- se non desideri un mondo di persone un po’ più libere, ti ritroverai con un mondo di persone un po’ più libere, quindi meno controllabili, meno dominabili.
Come la ricerca pedagogica ha sottolineato (gli autori a cui penso mentre scrivo queste note sono Rousseau e Dewey), educare è una questione di scelte politiche. Non è affatto detto che una maggiore libertà di pensiero sia l’obiettivo politico scelto: un pensiero unidimensionale e ordinato offre molti vantaggi in termini di efficienza economica, ad esempio, rispetto ad un pensiero multidimensionale altrettanto ordinato.
Non entrerò nel merito di queste scelte politiche, perché non mi competono nella sede tecnica in cui sto scrivendo. Sottolineo soltanto che il problema esiste, così come esiste la necessità di un radicale mutamento nella professionalità docente nel caso si opti per una educazione alla multidimensionalità del pensiero. Così anche le difficoltà didattiche sottolineate dai colleghi sono ampiamente confermate dalla pratica.
In sede tecnica però è la prima obiezione, quella sulla identità della filosofia, a non tenere: i filosofi nelle loro opere non hanno affatto proposto un modello unidimensionale di pensiero. Spinoza, per restare al solo campo del logos (nell’accezione con cui prima abbiamo usato questo temine), ne propone due (entrambi in grado di pervenire ad "idee adeguate"); Pascal altrettanti (l’esprit de finesse e l’esprit de géométrie, utili in settori diversi della ricerca scientifica, per tacere del "cuore", termine con cui indica specifica una facoltà di conoscenza). E gli esempi potrebbero moltiplicarsi facilmente. Si pensi ad esempio a Platone (che davvero "esplora tutte le vie in tutte le direzioni"), a Plotino, e a chi si vuole, perché la tradizione filosofica dell’occidente ha in effetti proposto forme multidimensionali di pensiero.
La scelta è politica. Infatti:
- l’obiezione teorica non tiene;
- le obiezioni didattiche tengono, ma negli anni Novanta e ancora negli ultimi anni proprio in Italia, per lo più in rapporto con la ricerca didattica dei colleghi francesi, sono state proposte (da Mario De Pasquale, da Enzo Ruffaldi e da me) (2) metodologie di lavoro filosofico adeguate alle pratiche didattiche per una educazione al pensiero multidimensionale.
La questione va riportata quindi alla sua vera natura di scelta politica: si desidera educare gli allievi a forme unidimensionali o multidimensionali di pensiero filosofico (quindi di pensiero in entrambi i casi ordinato)?

Quali costi implicano le programmazioni che mirano ad una educazione ad una determinata forma di pensiero razionale o a molte forme?
Poiché la sede nella quale svolgo il mio intervento è strettamente tecnica, proporrò forme di lavoro filosofico nel contesto della programmazione coerenti con entrambe le scelte. Prima di farlo, conviene però ricordare i ben noti limiti delle pratiche didattiche e le loro concrete possibilità di successo. In didattica, infatti, non va mai smarrito il principio pedagogico che sottolinea come ogni scelta abbia un costo e non esistano metodi didattici privi di prezzi da pagare. Dunque:
- se si sceglie il modello basato sulla sequenza spiegazione-verifica, uniforme nei tre anni dell’insegnamento filosofico, si dovrà rinunciare all’educazione a forme di pensiero non compatibili con questo modello; per conseguenza, si dovrà rinunciare anche al recupero scolastico basato su forme diverse di pensiero e quindi a tutte quelle pratiche didattiche di recupero efficaci quando non è efficace l’unica consentita dal modello spiegazione-verifica (e cioè rispiegare in modo diverso e costringere l’allievo a studiare di più, agendo sulla doppia leva della paura e della motivazione; più sulla prima tuttavia, perché il modello spiegazione-verifica ha poche possibilità nell’agire sulla motivazione, se non è spontanea);
- se si sceglie uno dei modelli didattici compatibili con l’educazione alla multidimensionalità del pensiero, si dovrà rinunciare al controllo di tutte le variabili che sarebbe desiderabile sottoporre a verifica e si dovrà fare i conti con quella "anarchia" di cui parla Feyerabend che nell’adolescenza può assumere caratteri estremizzati (il riferimento è pertinente: Feyerabend parla dei metodi di ricerca, ma la filosofia per gli allievi a cui si propongono questi metodo è proprio questo: ricerca); il costo è quindi la rinuncia alla linearità e alla semplicità del percorso spiegazione-verifica, rinuncia che può rivelarsi pesante soprattutto per il professore: come è ben noto, tutte le libertà (non solo la multidimensionalità del pensiero) hanno un costo, poiché implicano responsabilità e ordine auto-imposto e non etero-imposto.

A - La programmazione basata sulla sequenza spiegazione-verifica-recupero
Secondo questo modello la programmazione è molto semplificata perché le attività didattiche sono soltanto di tre tipi.
- La spiegazione. Il messaggio è a senso unico, dal professore all’allievo, secondo la molteplicità massima possibile di linguaggi e di stili cognitivi consentiti dalla unidirezionalità del canale comunicativo; questa multiformità è quindi per forza di cose limitata, ed è legata alle metodologie di spiegazione utilizzate Chi scrive è convinto che le capacità individuali dell’insegnante indipendenti dalle tecniche utilizzate devono entrare in gioco il meno possibile: è ardo spiegare tutte le mattine filosofia per quaranta anni della propria vita professionale facendo affidamento su questo. E’ molto meno arduo fare affidamento su tecniche.
Chi scrive sa molto bene che questa posizione è rifiutata dalla tradizione dell’insegnamento filosofico in Italia. Sa anche che il lavoro di un medico, di un avvocato, di un ingegnere, di un professionista in qualsiasi settore, segue regole e metodi e non si affida più di tanto sull’estro individuale. Le "buone pratiche" pagano in tutte le professioni. Chi scrive ritiene quindi che nella propria programmazione il professore può trarre vantaggi didattici se mette in conto il massimo possibile di differenziazione nelle tecniche di spiegazione, in termini di modalità comunicative, di ricerca degli esempi (la chiave di volta delle spiegazioni, perché consentono il passaggio intuitivo tra l’astratto e il concreto), di percorsi e stili cognitivi, di strategie che allarghino il campo del solo registro verbale. Nulla di nuovo in realtà: nessun professore del passato ha dovuto aspettare l’esistenza del computer per proporre forme di multimedialità nel corso della propria spiegazione, perché il mondo è multimediale e gli esempi possono essere scelti con questo criterio, e uno schema alla lavagna o forme grafiche accennate col gesso implicano l’attivazione di diverse forme del pensiero.
- La verifica. Ciascun tipo di verifica misura qualcosa e consente di valutare qualcosa. Non consente di misurare e valutare tutto. Se si vuole misurare e valutare estendendo il campo, occorre prevedere nella propria programmazione una vasta gamma di tipologie di verifiche. L’interrogazione e il questionario (a mia notizia di gran lunga le più diffuse tipologie di verifica quando si usa il modello di cui adesso parliamo) misurano e consentono di valutare qualcosa, non tutto. Dunque: fatti salvi l’interrogazione e il questionario, in programmazione va previsto molto altro se si desidera una misurazione e una valutazione a largo raggio. La didattica della filosofia ha proposto un numero alto di tipologie di verifiche, che hanno tuttavia il difetto di richiedere una preparazione specifica da parte del professore, cioè la padronanza di quelle "buone tecniche" che fanno parte del bagaglio professionale del docente. Preciso che la ragione per cui sono utili una misurazione e una valutazione a largo raggio sta in questo, che ne viene molto facilitato il recupero scolastico.
- Il recupero. Va preliminarmente chiarito che è del tutto normale che una parte della classe non ottenga buoni risultati alle verifiche. Non è una patologia del sistema. Per conseguenza una programmazione basata sulla sequenza spiegazione-verifica non può fermarsi lì, a meno che l’obiettivo del professore non sia selezionare gli allievi. Ma anche in questo caso qualche attività di recupero va messa in conto, perché non è mai possibile escludere errori o problemi incidentali insorti.
Le attività di recupero possono agire su tre livelli: il livello della comprensione e dei metodi di lavoro, quello della motivazione allo studio attraverso il ricorso a sanzioni (sfruttando la paura di una punizione), quello della motivazione allo studio attraverso l’interesse. I tre livelli non si escludono a vicenda, non c’è ragione di non bilanciarli, a meno che non si sia identificato in un particolare livello la ragione del cattivo andamento degli allievi. Le tecniche di recupero (cioè le buone pratiche) sono moltissime, e sono state anch’esse ampiamente studiate dalla ricerca didattica.
Va precisato che il professore non può, in sede di programmazione iniziale, specificare quali tecniche e quale livello saranno privilegiati, perché non conosce a inizio d’anno le ragioni che hanno determinato la necessità del recupero. In sede di programmazione si può quindi solo prevedere un tempo-aula (accompagnato da lavori a casa) dedicato al recupero. Solo in corso d’anno si potranno scegliere le modalità opportune.

B – La programmazione basata su pratiche che mirano allo sviluppo di forme multidimensionali del pensiero
Se si sceglie questa opzione, la programmazione ha una struttura complessa per due ragioni:
- il ruolo attivo degli allievi, che implica una gestione delle attività in aula molto varia;
- la necessità di moltiplicare le tipologie di lezione.
Il principio-base di questo tipo di programmazione è una forte aderenza ai metodi di lavoro filosofico che sono proposti dai filosofi nelle loro opere. Si dovrà quindi procedere con rigore filologico: mentre la sequenza spiegazione-verifica-recupero rende uniforme l’intera storia della filosofia che viene trattata con gli stessi metodi autore dopo autore (il professore spiega e presenta i metodi e le teorie dei filosofi seguendo l’uniforme metodo della spiegazione, che cambia poco sia che si stia presentando il gioco dialettico dei dialoghi platonici o l’esposizione more geometrico dell’Etica spinoziana), questo tipo di programmazione mira invece a riproporre la filosofia dei vari autori con metodi che richiamano quelli con cui essa è stata proposta dai filosofi. Anche con queste modalità sarà comunque necessario prevedere un certo numero di spiegazioni, per cui la lezione in aula assumerà un andamento assai vario: le tipologie di lezione si moltiplicheranno. Saranno da prevedere almeno le seguenti:
- spiegazioni del professore (in cui il messaggio è quindi unidirezionale);
- lezioni dialogate secondo diverse modalità (tra professore e studenti, tra studenti, tra classi diverse, e così via), in tutti quei casi in cui le pratiche dialettiche lo richiedono (così ad esempio per gran parte della filosofia antica, e innanzitutto per tutta la tradizione socratico-platonica);
- lezioni basate sulle molte tipologie dei lavori di gruppo (soprattutto per l’analisi comune dei testi filosofici);
- lezioni basate su esposizioni degli allievi facendo ricorso alla multimedialità (dal cartellone alla visualizzazione di concetti alle presentazioni in PowerPoint alle sequenze multimediali al computer), in modo strettamente legato ai suggerimenti che provengono dalla lettura dei testi filosofici;
- lezioni basate su lavoro individuale o a gruppi o collettivo sulle immagini, sulle metafore, sul pensiero analogico e così via (ad esempio per la filosofia del Seicento);
- lezioni fuori aula, laddove sia utile l’osservazione diretta della natura (ad esempio per lo studio delle teorie aristoteliche) o di determinati elementi storico-artistici (ad esempio per lo studio delle teorie sull’arte e sulla storia);
e così via.
Poiché il lavoro sulla multidimensionalità del pensiero va svolto seguendo con rigore filologico le indicazioni dei filosofi nelle loro opere, vanno riproposti i loro metodi. La differenza netta tra il momento della spiegazione e quello della verifica viene quindi sfumata, perché la programmazione su basa su una trama continua di lavoro filosofico in cui lo studente è attivo. Le attività in aula e a casa si moltiplicano, ma sono attività per apprendere, non per essere valutati. Tuttavia, poiché tutto può e deve essere oggetto di valutazione, la differenza tra esercitazione e verifica è solo legata al fatto che, nella fase conclusiva, il professore decide di assegnare un voto ad un certo lavoro o alla sequenza dei lavori degli allievi o stabilisce una data precisa per una verifica con voto.
Naturalmente in questo tipo di programmazione (molto varia, le lezioni si susseguono ben raramente uguali le une alle altre) vanno previsti momenti di stasi e di sintesi: momenti in cui il lavoro svolto si riorganizza con ordine, perché la multidimensionalità del pensiero filosofico non è mai disordinata (presso i testi filosofi, e quindi nell’aula in cui essi sono in un modo o nell’altro riproposti).
Quanto al recupero, poiché la verifica è continua, lo è anche il recupero. Questo tipo di programmazione parte dal presupposto che è del tutto normale che una parte della classe non segua o rimanga indietro o non studi a casa, e interviene subito con continue sollecitazioni. L’uso regolare degli strumenti multimediali (che legano, su carta o con mezzi audiovisivi o al computer, immagini, suoni, parole, secondo le molte tipologie di resa multimediale del pensiero) mira anche a quella che la teoria didattica proposta da Michel Tozzi chiama "emergere delle rappresentazioni", consentendo quindi all’insegnante di intervenire nelle fasi dello studio di un autore (è una delle forme di recupero in itinere).
Poiché al momento delle verifiche con voto una parte della classe non avrà comunque raggiunto una valutazione sufficiente, la dinamica del lavoro in aula prevede che il lavoro non si fermi lì. Il professore non assegnerà un voto negativo: non assegnerà alcun voto. Richiederà una ripetizione del lavoro svolto male con modalità diverse.
Una parte degli allievi è prevedibile che risponderà ancora negativamente alle sollecitazioni. Anche questo è nella normalità e non nella patologia del sistema: il professore non ha bacchette magiche.
Ha però molte buone pratiche a disposizione: prima di arrendersi, e dare un voto negativo, le userà.

Un esempio di percorso: l’etica ellenistica
La tradizionale pratica dei percorsi, che si affiancano nella programmazione allo studio dei filosofi nella sequenza loro storica, può essere utile come esemplificazione dei due modelli di programmazione.
Si prenda il caso di un percorso sull’etica in età ellenistica. Si potranno proporre
- alcuni modelli del IV secolo a cui la filosofia ellenistica si è richiamata nel merito o nel metodo:
- una selezione di frammenti etici di Democrito;
- le celebri pagine di Aristotele dell’Etica nicomachea sul giusto mezzo;
- alcuni frammenti etici delle scuole socratiche (quasi introvabili in italiano, ma in un percorso di questo tipo
una selezione è utile);
- l’etica di Epicuro (ad esempio con la lettura in parallelo della Lettera a Meneceo e di una selezione delle sentenze);

- l’etica stoica (va valutato se proporre testi quasi contemporanei a Epicuro, che sono pochi e in stato di frammenti, o ricorrere alla tradizione romana, in particolare Seneca o Marco Aurelio);
- l’etica degli scettici (anche qui è necessario scegliere tra i pochi frammenti del IV e III secolo e le trattazioni di età romana).
I due modelli di programmazione non implicano diversificazione nelle scelte sulla selezione dei testi, ma approcci metodologici diversi.
Se si sceglie il modello di programmazione basato sulla sequenza spiegazione-verifica, il professore dà per scontata la conoscenza manualistica degli autori studiati (sono parti di programma già svolti) e spiega i testi, commentandoli, introducendoli, ponendoli in paragone tra loro: costruisce cioè la sua lezione lavorando sui testi secondo le molte metodologie di lettura dei testi che la tradizione didattica propone per l’insegnamento della filosofia. Usa diversi approcci, e con la sua spiegazione propone implicitamente i diversi metodi di lettura dei testi filosofici. Sceglie se soffermarsi sugli aspetti retorici e sui generi letterari trattati, se mirare al dialogo tra le scuole o alla loro opposizione delle pratiche di vita, e così via. Al termine delle spiegazioni (che non potranno per ragioni di tempo protrarsi più di qualche lezione), propone agli allievi varie forme di verifica sui testi letti; le verifiche vanno studiate in modo che analiticamente consentano la verifica di ciascun punto, di merito e di metodo, delle lezioni svolte, e siano rispettose anche delle diversità di approcci degli allievi in ragione dei loro stili cognitivi, dei loro interessi, e così via.
Se il professore sceglie il modello che punta alle forme multidimensionali del pensiero, le pratiche di lavoro in aula vanno scelte in rapporto alle due variabili della natura dei testi selezionati e delle caratteristiche della classe:
- va deciso se privilegiare il metodo del lavoro d gruppo o i vari metodi che valorizzano le pratiche dialettiche;
- se e come puntare sulle molte metodologie di lavoro autonomo sui testi, da quelle analitiche a quelle sintetiche, alle pratiche di esercizi di riflessione, di confronto o altro;
- va posta molta cura nella problematizzzazione dei testi e nella loro attualizzazione/storicizzazione, secondo le modalità cche la ricerca didattica in filosofia ha chiarito su questi punti;
- va deciso quale ruolo dare alle forme di lavoro creativo, e quali modelli in termini di pratiche retoriche proporre
e così via.


Note
(1) Questo testo, in versione diversa, è comparso a stampa su Nuova Secondaria di Settembre 2008.
(2) La documentazione su queste ricerche non è ormai più disponibile a stampa, ma lo è su internet, e il Giardino dei Pensieri raccoglie ampia parte delle proposte didattiche degli anni Novanta.
A stampa è però ancora disponibile , di Enzo Ruffaldi e Mario Trombino.

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