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La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

venerdì 28 febbraio 2014

Michael Dummett, il mago della logica stregato dai tarocchi

Da "http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/020905.htm" : 

di ARMANDO TORNO 

Parla Sir Michael Dummett, celebre filosofo della matematica a Oxford Le confessioni di un pensatore conquistato dai simboli del gioco «che li contiene tutti» 

È uno dei massimi esperti di logica. E di tarocchi. Sir Michael Dummett, professore a Oxford, lo si intervista sempre con un sorriso, lo si incontra ogni volta con piacere.
Soprattutto se si ripensa ai soffitti secenteschi della Biblioteca Bodleiana, dove un motto latino scandisce il lavoro secolare della ricerca oxoniense: «Dominus illuminatio mea», il Signore è la mia luce.
Fu scritto troppo tardi perché lo potesse leggere Roberto Grossatesta, che qui, nel XIII secolo, insegnò teologia.
Un autentico innamorato della luce e un fine esegeta della volontà, così come Sir Dummett ha cambiato prospettive di pensiero con i suoi studi su Frege e con la ricerca di una «teoria sistematica del significato».
Ma anche con quel grosso tomo, edito in Italia da Bibliopolis, intitolato Il Mondo e l’Angelo.
I Tarocchi e la loro storia. E ora esce presso il melangolo la nuova edizione de I Tarocchi siciliani. 
 
Professor Dummett, i tarocchi hanno un’origine islamica?
«Le carte da gioco sono arrivate in Europa nel ’300 dal regno mamelucco di Egitto e Siria. Giunsero prima a Valencia e a Venezia. Ma il mazzo di tarocchi è invenzione italiana, fatta probabilmente nella corte viscontea di Milano o in quella estense di Ferrara verso il 1425».
In che consisteva l’invenzione?
«Nell’addizione di 26 carte a un mazzo italiano di 52: una quarta figura, la Regina, in ciascuno dei quattro semi; una serie di 21 "trionfi", ciascuno con l’immagine di un soggetto - il Papa, l’Amore, la Giustizia, il Diavolo, la Luna, l’Angelo - e una singola carta, il Matto».
Dei soggetti dei trionfi colpisce sempre l’Impiccato...
«È raffigurato capovolto per un piede, è affascinante. Era intelligibile nel Rinascimento. Fu a Milano, a Roma, soprattutto a Firenze che si dipinsero così in luoghi pubblici criminali e traditori dello Stato».
Ma perché i trionfi e il Matto sono stati aggiunti al mazzo?
«Nel gioco dei tarocchi i 21 trionfi funzionano da briscole: di fatto l’invenzione di queste carte è anche quella delle briscole. Prima esistevano giochi di prese, senza briscole; si praticavano in Persia e anche nell’impero mogol in India. Insomma, l’aggiunta dei trionfi consentì di giocare un nuovo ruolo. Il Matto funzionava quasi come il nostro Jolly».
Allora i tarocchi non nacquero per predire il futuro...
«No, e nemmeno per praticare altri fini occulti. Di fatto, la predizione applicata alle carte da gioco ebbe origine solo nel ’700 a Bologna e qualche anno dopo, indipendentemente, in Francia. Verso la fine del XIX secolo la pratica di predire il futuro per mezzo dei tarocchi si estese a Inghilterra e Stati Uniti. Da qui ritornò in Occidente ».
Come si diffusero in Italia?
«I tre primi centri del gioco furono Milano, Ferrara e Bologna. Entro il 1450 erano conosciuti a Firenze, e a Roma probabilmente prima della fine del XV secolo. Correva il 1663 quando il vicerè di Sicilia introdusse il gioco nell’isola».
E nel resto d’Europa?
«All’inizio del ’500, quale conseguenza delle guerre francesi per Milano, i tarocchi arrivarono in Francia e Svizzera. Nel ’600 penetrarono nei territori di lingua tedesca, poi nel resto d’Europa. Qualche eccezione c’era: la penisola iberica, le isole britanniche e i paesi sotto il dominio turco. Disperdendosi, il gioco sviluppò molte varianti, che mantenevano caratteristiche tipiche».
Tornando all’idea di briscola , deriva veramente dai tarocchi?
«Avanti il ’500 in Francia e nei primi anni del secolo in Inghilterra, Germania e Spagna, si cominciavano a praticare giochi con il mazzo ordinario, in cui le carte di un seme fungevano da briscole. Erano chiamati "Triomphe" (in Francia), "Triumph" (in Inghilterra) e simili altrove. Quello inglese era l’antenato del Whist, e perciò del Bridge; e la parola inglese "trump" è una corruzione di "Triumph". Questi giochi non avevano nulla in comune tranne l’uso di briscole. I loro nomi affini a "Trionfi" indicano che avevano preso la nozione di briscola dal gioco dei tarocchi. La stessa parola "tarocchi" è un neologismo del XVI secolo; nel XV era chiamato "Trionfi" e il mazzo "carte da trionfi"».
Che ne pensa di chi sostiene l’origine egizia dei tarocchi?
«Rispondo: non è vero. Perché sono nati, lo ripeto, nell’Italia del ’400. Nel ’700 il loro gioco era tramontato a Parigi e sopravviveva soltanto nell’est della Francia, in Borgogna e Provenza. Nel VII volume del suo Mondo primitivo (1781), Antoine Court de Gébelin propone la teoria che i tarocchi siano stati inventati da sacerdoti egizi per simboleggiare le loro dottrine religiose. Su questa base l’indovino Etteilla disegnò un nuovo mazzo di tarocchi, con cui praticava la divinazione. Si era ispirato al Pimander , attribuito a Ermete Trismegisto. La produzione non si fermò, e mazzi divinatori di "Tarocchi egizi" si diffusero molto nella Francia dell’800».
Ma c’è un legame fra tarocchi e mondo esoterico?
«Nel 1854 l’occultista Eliphas Levi propose una nuova teoria: queste carte sono di origine ebraica e si devono interpretare alla luce della Cabala. Una simile ipotesi, poi molto seguita, fornisce simboli a volontà. Così i tarocchi sono diventati una componente forte delle teorie magiche. Il fenomeno fu limitato, almeno per circa 35 anni, alla Francia; poi sbarcò in Gran Bretagna e quindi trovò fortuna in tutto il mondo occidentale. E questo anche se storicamente tali carte non hanno un legame con la magia, sono semplicemente strumenti per giochi ingegnosi. Le interpretazioni occultistiche dei tarocchi non hanno bisogno di prove, sono assiomi».
Quando ha cominciato a occuparsi del gioco dei tarocchi?
«Intorno al 1965 mia moglie ed io eravamo in vacanza con i figli in Normandia e abbiamo comperato un mazzo di queste carte con le annesse "regole del gioco". Lo abbiamo trovato molto interessante. Tornato in Inghilterra, ne ho comperato un mazzo austriaco, che proponeva un gioco diverso da quello francese, sebbene con somiglianze manifeste. Ho cercato di scoprire come si giocava in Italia, ma nessuno sapeva informarmi. Allora mi sono documentato io stesso, attraverso i libri antichi di giochi, sino a trasformare queste ricerche nel 1980 in un saggio, The Game of Tarot ».
Lei ha viaggiato in Sicilia per conoscere e giocare ai tarocchi...
«Non so più quanti viaggi ho fatto in vent’anni, accompagnato dal giornalista Marcello Cimino, un caro amico. Mi diede un aiuto inestimabile. Dirò che nel 1900 il gioco era conosciuto in tutta la Sicilia, dal 1950 circa sopravvive in 4 paesi disparati. Sia il mazzo, sia il gioco siciliano dei tarocchi hanno assunto forme sorprendenti, diverse da tutte le altre. Il più bel ricordo l’ho a Calatafimi, in un circolo, i cui membri sono stati gentilissimi con me».
In che consiste il fascino di questo gioco?
«Forse nel fatto che non è unico, perché ne contiene molti. Ed è sempre un’invenzione di genio. I mei preferiti sono i tarocchi bolognesi, siciliani, ungheresi e danesi».
Intingo l’ultima domanda nel patriottismo: continuano i giocatori stranieri a usare carte italiane?
«No. Intorno al 1750 i fabbricanti tedeschi introdussero un nuovo tipo di tarocchi, nel quale i semi francesi di picche, fiori, cuori e quadri sostituivano quelli italiani. I soggetti tradizionali dei trionfi erano rimpiazzati da animali o da scene della vita quotidiana; i trionfi erano identificati soltanto per grandi numeri, romani o arabi. Alla fine del ’700 questi nuovi tarocchi erano stati adottati dappertutto, tranne che in Italia, Francia e Svizzera. I giocatori francesi cominciarono a utilizzare tarocchi con i loro semi solo all’inizio del ’900».

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