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venerdì 21 febbraio 2014

Relatività generale

Da WikiPedia:

La relatività generale è una teoria fisica elaborata da Albert Einstein e pubblicata nel 1916.

La relatività generale descrive l'interazione gravitazionale non più come azione a distanza fra corpi massivi, come era nella teoria newtoniana, ma come effetto di una legge fisica che lega distribuzione e flusso nello spazio-tempo di massa, energia e impulso con la geometria (più specificamente, con la curvatura) dello spazio-tempo medesimo.

La geometria dello spazio-tempo, in particolare, determina quali sistemi di riferimento siano inerziali: sono quelli associati a osservatori in caduta libera, che si muovono lungo traiettorie geodetiche dello spazio-tempo. La forza peso risulta in questo modo una forza apparente osservata nei riferimenti non inerziali.

La teoria della relatività generale è alla base dei moderni modelli cosmologici della struttura a grande scala dell'Universo e della sua evoluzione.

Come disse lo stesso Einstein, fu questo il lavoro più difficile della sua carriera di teorico a causa delle difficoltà matematiche da superare, poiché si trattava di far convergere concetti di geometria euclidea in uno spaziotempo curvo, che oltretutto, in accordo con la relatività ristretta, doveva essere dotato di una struttura metrica di tipo iperbolico anziché euclideo.

Einstein trovò il linguaggio e gli strumenti matematici necessari nei lavori di geometria differenziale di Luigi Bianchi, Gregorio Ricci-Curbastro e Tullio Levi-Civita, che avevano approfondito nei decenni precedenti i concetti di curvatura introdotti da Carl Friedrich Gauss e Bernhard Riemann.

Nel 1905 Albert Einstein risolve le contraddizioni presenti tra le equazioni di Maxwell dell'elettromagnetismo e la relatività galileiana, pubblicando in un articolo la teoria della relatività ristretta.
Questa nuova teoria è però a sua volta in contraddizione con la teoria della gravitazione universale di Newton: negli anni successivi Einstein cerca di modificare la teoria della gravitazione in modo da renderla compatibile con la relatività ristretta.

Dopo dieci anni di studi, nel 1915 Einstein propone una equazione oggi nota come equazione di campo di Einstein: tale equazione descrive la gravità come curvatura dello spaziotempo ed è il cuore della relatività generale.
Oltre a risolvere i conflitti tra le due teorie, la nuova teoria gravitazionale risulta anche essere più accurata di quella newtoniana nel prevedere la precessione del perielio di Mercurio.

L'equazione di campo di Einstein è una equazione differenziale non lineare molto difficile da risolvere. Solo un anno dopo, nel 1916, l'astrofisico Karl Schwarzschild trova una particolare soluzione all'equazione, oggi nota come spaziotempo di Schwarzschild: questa soluzione è utilizzata nei decenni successivi come modello per descrivere i buchi neri.

Nel 1919 Arthur Eddington organizza una spedizione in occasione di un'eclissi di Sole all'isola di Príncipe per verificare una delle conseguenze della teoria, e cioè la flessione dei raggi luminosi (di una stella) in presenza di forte campo gravitazionale (del Sole).

Negli anni successivi Einstein si interessa alle implicazioni cosmologiche della relatività generale; per ottenere un universo statico introduce nell'equazione una nuova costante, detta costante cosmologica. Nel 1929 gli studi di Edwin Hubble mostrano però che l'universo è in espansione ed il modello statico di Einstein viene abbandonato.

Le implicazioni della teoria vengono quindi studiate intensamente a partire dagli anni sessanta.
Il termine buco nero è coniato da John Wheeler nel 1967.

Buona parte degli studi di fisica teorica negli ultimi decenni sono, inoltre, dedicati a conciliare la relatività generale con la meccanica quantistica.

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La curvatura dello spaziotempo


Una celebre illustrazione divulgativa della curvatura dello spaziotempo dovuta alla presenza di massa, rappresentata in questo caso dalla Terra.
La teoria afferma infatti che lo spaziotempo viene più o meno curvato dalla presenza di una massa; un'altra massa più piccola si muove allora come effetto di tale curvatura.
Spesso, si raffigura la situazione come una palla che deforma un telo elastico teso con il suo peso, mentre un'altra pallina viene accelerata da questa deformazione del piano ed in pratica attratta dalla prima.
Questa è solo una semplificazione alle dimensioni raffigurabili, in quanto ad essere deformato è lo spazio-tempo e non solo le dimensioni spaziali, cosa impossibile da raffigurare e difficile da concepire.
L'unica situazione che riusciamo a raffigurare correttamente è quella di un universo a una dimensione spaziale ed una temporale. Un qualunque punto materiale è rappresentato da una linea (linea di universo), non da un punto, che fornisce la sua posizione per ogni istante: il fatto che sia fermo o in moto farà solo cambiare l'inclinazione di questa retta. Ora pensiamo di curvare tale universo usando la terza dimensione: quello che prima era la retta che descriveva un punto, ora è diventata una superficie.
Su una superficie curva non vale la geometria euclidea, in particolare è possibile tracciare un triangolo i cui angoli sommati non forniscono 180° ed è anche possibile procedere sempre nella stessa direzione, ritornando dopo un certo tempo al punto di partenza.
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Esperimento mentale

Il concetto di esperimento concettuale è stato introdotto da Albert Einstein, che se ne servì per illustrare la sua Teoria della relatività; ma anche alcuni paradossi classici, come quello di Achille e la tartaruga, si possono considerare esperimenti mentali. Anche alcuni ragionamenti di Galileo Galilei rientrano sotto questa categoria.
A titolo di esempio si descrive qui l'esperimento del treno, usato da Einstein per mostrare come, secondo la teoria della relatività, eventi che sono simultanei in un sistema di riferimento inerziale non lo sono in un altro. Un altro celebre esperimento concettuale applicato alla teoria della relatività è il cosiddetto paradosso dei gemelli.

Esempio

Consideriamo un treno che viaggi alla velocità di 30 000 km/s, cioè un decimo della velocità della luce. Un osservatore si pone al centro di un vagone lungo 20 m, con due torce elettriche in mano; le punta verso le due estremità del vagone, una nella direzione del moto del treno e l'altra in direzione contraria, e le accende simultaneamente.
Ora, uno dei postulati della teoria della relatività afferma che la velocità della luce è costante e uguale in tutti i sistemi di riferimento inerziali: perciò l'osservatore a bordo del treno, rispetto al quale il vagone è immobile, vede la luce delle due torce percorrere 10 m in entrambe le direzioni, e arrivare simultaneamente alle due estremità del vagone in un tempo t = 0,0333 microsecondi.
Ma per un osservatore situato a terra, che vede il vagone in movimento, il raggio di luce diretto verso la coda del treno raggiunge dopo soltanto 9,0909 metri l'estremità del vagone, che nel frattempo gli è venuta incontro di 0,9091 metri; mentre il raggio diretto verso la testa del treno deve percorrere 11,1111 metri per raggiungere l'altra estremità che si è allontanata di 1,1111 metri. Il primo raggio arriva quindi dopo 0,0303 microsecondi, il secondo invece dopo 0,0370 microsecondi: in questo sistema di riferimento i due eventi non sono simultanei.

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