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La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

lunedì 10 marzo 2014

Dino Buzzati. Le Stagioni dell’Amore (dedicato a mia Moglie e mia Figlia)

Da "http://www.igiornielenotti.it/?p=21767" (il testo originale):

Desidero dedicare questo scritto, del nostro grande Dino Buzzati, a mia Moglie e soprattutto a mia Figlia Agata, che un giorno ci sorprenderà nel cammino della vita, improvvisamente cresciuta, e cavalcherà da sola il suo destino (e papà e mamma non ci saranno più, se non nel ricordo del cuore e della mente).

Mi perdoni il Sig. Buzzati, ma ho apposta cambiato il senso dello scritto.
Il suo tono è estremamente doloroso, da cuore infranto, ed il mio invece vuole essere un inno all'amore sincero ed imperituro, che si dimena nella giungla avventurosa della vita.

LexMat


Le Stagioni dell’Amore

Vorrei che tu venissi da me in una sera d’Inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme.
Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi.
Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava.
Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri.
“Ti ricordi?” ci diremo l’un l’altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento.
E conoscevamo le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati.
Passammo, rapiti, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, e battesti alla porta del castello deserto, camminammo nella notte verso il lume lontano lontano, e ti addormentasti sotto le stelle d’Oriente, cullata da pioggia sacra.
Dietro i vetri, nella sera d’inverno, probabilmente noi rimarremo muti, perdendomi entrambi nelle favole morte.
Io chiederei “Ti ricordi?”, e tu ricorderesti.

Vorrei con te passeggiare, un giorno di Primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica.
In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date ore vaga la poesia, congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene.
Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione.
Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, non stupide ma care.
Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre della città, le avventure, i vagheggiati romanzi.
E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.

Tu puoi quindi amare quelle domeniche che dico, e l’anima tua sa parlare alla mia in silenzio, riconoscere all’ora giusta l’incantesimo delle città, e le speranze che scendono dal settentrione.
Non preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei la fortuna, imperatrice del mio essere.
Tu sei uguale a me e se venissi quel giorno a passeggiare, vorresti rifarlo ricominciando daccapo mai stanca; solo questo e nient’altro, per sempre.

Vorrei anche andare con te d’Estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate.
Fermarci sul ponte di legno a guardare l’acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai.
E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull’erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne.
Tu diresti “Che bello”.
Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora.
E tu ti guarderesti attorno annuendo senza paura, preoccupata di fare ritorno e che tutto potesse finire.
E diresti “Che bello!”, e tante altre piccole ma grandi cose che a me importano.
Perché sei fatta così, uguale a me ed a Mamma.
E saremmo felici per sempre.

Vorrei pure – lasciami dire – vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto d'Autunno, quando il cielo è di puro cristallo.
Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini.
Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di sè una specie di musica.
Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto.
Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell’uomo.
E tu guarderai il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall’estremo sole, senza fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine.
E ti accorgerai quindi dei fantasmi, e dei presentimenti che passano, ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa.
Udresti quella specie di musica, e capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni.
Tu penseresti al tuo domani e sopra di te le statue d’oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi.
Ma un giorno sarai sola.

Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia.
Ed io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere per sempre felici, come una volta, con molta semplicità, padre con figlia. 

Ed un giorno accanto ritorneremo,
ai confini dello Spazio e del Tempo,
e per sempre insieme saremo.

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