Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

martedì 11 marzo 2014

Se io fossi Dio

Da "http://rozmilla.wordpress.com/2012/03/28/se-io-fossi-dio/" :

Quando mio padre nacque nel 1929 in un paesino della bassa bergamasca, ancora nessuno sapeva che sarebbe stato un anno di pessimo auspicio. Eppure lui non se la cavò proprio malaccio, vive tuttora e sta relativamente bene, e ancora adesso è animato da sincera devozione verso Dio – anche se ultimamente mi ha confidato di non essere mai stato un gran mangia signur.
In quello stesso anno rispondendo ad un’agenzia di stampa che voleva sapere se credeva in Dio, Albert Einstein rispose che credeva nel Dio di Spinoza che si rivela nell’armonia delle leggi dell’esistente, e non in un Dio che si preoccupa dei destini degli uomini.
Un’altra volta gli chiesero quale gioco preferiva, e lui rispose “Il gioco degli scacchi secondo me è il gioco preferito da Dio …”. E questo significa che, per lo meno Dio non giocherebbe a dadi.
Meno male, ora che lo sappiamo tiriamo tutti un bel respiro di sollievo. Già, perché nel gioco degli scacchi esistono delle regole, chiare e conoscibili, e non tutto è affidato al puro caso come nel lancio dei dadi. Che quello sì, sarebbe stato un vero tiro macino.
Chi non conosce le regole del gioco degli scacchi ?
(nel caso, riassumo brevemente che su una scacchiera – come nella foto qui sotto – suddivisa in 64 quadratini bianchi e neri si muovono delle figure, 16 bianche e 16 nere, con delle regole ben precise. I 16 Pedoni in prima linea (8 per colore) si muovono in avanti di due passi, ma solo per il primo passo, mentre per successivi avanzano soltanto di uno, e mangiano in diagonale. L’Alfiere muove in diagonale in tutti i sensi e senza limiti,  ma sempre all’interno della scacchiera  e facendo attenzione a non cader giù.  Idem la Torre, ma in orizzontale e verticale. Il Cavallo muove ad Elle, formata da due più tre caselle. La Regina si muove come le pare, tranne che ad Elle. Il Re anche lui come gli pare, ma un solo passo alla volta. Inoltre c’è l’arrocco, che è un cambio di posto tra il Re e la Torre, che si può fare una volta sola ma soltanto se entrambi non sono ancora stati mossi. Credo sia tutto.)

Ora, però, non entusiasmiamoci troppo di un sifatto gioco. Come si può notare, le regole sono determinate, nessuna figura può muoversi nè al di fuori dalla scacchiera nè dalle  regole del gioco che sono state definite fin dal principio, e non è possibile cambiarle in corso di partita. Ma soprattutto, lo scopo di ogni giocatore è mettere il Re avversario sotto scacco, ovvero nella condizione di non potersi più muovere, per cui a quel punto diventa “matto”. Quando lo scacco è matto, colui che ha giocato muovendo le pedine del colore del Re matto, ovviamente ha perso – evviva.
Ancora: lo scopo del gioco ovviamente è “vincere”; anche se, perché qualcuno vinca è necessario che qualcuno perda. La perdita dei neri è la vittoria dei bianchi, e viceversa.
[Può essere interessante  osservare come una partita a scacchi sia un gioco lose-lose che poi diventa a somma zero, dove si comincia cercando di infliggersi le maggiori perdite, e si finisce con la perdita del Re, che corrisponde alla vincita di chi ha dato scacco matto.
In alternativa, un gioco a somma diversa da zero - o win-win - è la danza, o la musica di improvvisazione, dove più i miei partner giocano bene, più gioco meglio anch’io.
Un tipico gioco che vorrebbe essere sempre a somma zero, ma che più spesso è un win-lose o un lose-lose, è la guerra. Nello sport il pugilato è dello stesso tipo. L’annientamento dell’avversario (il ko) dà la vittoria totale. Se ambedue si infliggono un po’ di danni si deve fare il calcolo di chi ha subito di più (vittoria ai punti). Tuttavia anche chi vince per ko esce con le ossa rotte.
Fin dall’antichità qualcuno aveva già capito che un gioco a somma zero non è molto conveniente, così che si è cercato di suggerire ai generali vittoriosi di non abusare della vittoria, o di fare un bilancio fra guadagni e perdite. E’ celebre la vittoria di Pirro, che lo ha tanto indebolito da causare la sua rovina.]

È chiaro che partecipando ad un gioco qualsiasi, nessuno (eccetto un masochista) si metterebbe a giocare allo scopo di perdere; e che in una partita a scacchi, per definizione a somma zero (+ 1 – 1 = 0),  entrambi i giocatori partecipano al gioco allo scopo di vincere e di far perdere l’altro.  Ma vincere cosa? Bé, tutto dipende da cosa si era pattuito, dalla posta in palio, come si dice. Nel caso del popolo degli umani, oggigiorno le vincite consistono  in denaro sonante – anche se il più delle volte è stonato, o prende stecche - e in ogni caso si gioca per qualche interesse.
Ma c’è anche chi gioca per un qualsiasi oggetto simbolico, come statuine medaglie coppe d’oro del giappone o similoro, che stanno a rappresentare l’orgoglio del vincitore. C’è una cimice che mi sta dicendo di scrivere Orgoglio con la maiuscola. Ok, va bene – fatto.
[Ma cosa fa di questo gioco un gioco così speciale? Ecco cos’è: gli scacchi sono una guerra idealizzata, richiedono tattica, strategia, freddo calcolo e intuizione. Ah, l’intuizione, conviene dire due parole. L’intuizione è un concetto che in generale separiamo dall’elemento logico, artistico o religioso. L’intuizione è l’afferrare immediato senza riflessione - nella sfera religiosa equivarrebbe all’illuminazione; in quella artistica all’idea originale, negli scacchi alla mossa geniale. Ora, è possibile che anche un giocatore ordinario riesca a fare una mossa geniale, ma allora non parleremmo di intuizione bensì di caso. Se invece gli riesce una mossa geniale per la seconda volta parliamo di fortuna. Solo se gli riescono spesso mosse geniali, allora ai nostri occhi il giocatore ordinario diventa un giocatore geniale, che crediamo capace di mosse intuitive perché esse avvengono in modo deduttivo a partire da una visione d’insieme della partita, ma non al di fuori della logica. Sarebbe più appropriato definirlo un azzardo logico, perché manca il tempo di garantirlo completamente dal punto di vista logico. Detto questo, anche una mossa intuitiva di un giocatore geniale può rivelarsi errata nello svolgimento ulteriore del gioco. Anche perché basta una mossa dell’avversario per portare una costellazione non prevista nello svolgimento della partita. Tutto chiaro?]

Ma anche ammettendo che siano davvero gli scacchi il gioco preferito da Dio, un Dio inteso come Sostanza spinoziana,  contro chi giocherebbe questo Dio? Fatti due conti, a rigor di logica possiamo facilmente dedurre che Dio giochi a scacchi contro se stesso; e che anche ognuno di noi, compreso Albert, gioca sia contro se stesso che contro Dio – ma essendo e restando, sia Dio che Albert che noi all’interno dello stesso gioco fin dal principio. La scacchiera e i pezzi sarebbero in sostanza il mondo intero, comprese le leggi, noi, i quanti, Albert e Dio.
Non ci sarebbe nessuno a giocare al di fuori, insomma, ma tutti dentro, e perciò è il gioco del tutti contro tutti e si salvi chi lo può – ma non può.
A voler essere più precisi, ogni pezzo dovrebbe essere considerato come una micro-scacchiera che gioca nel suo interno lo stesso gioco di Dio, il quale a sua volta è inserito nella macro-scacchiera che gioca il gioco di Dio in estensione, come un’illimitata matrioska-scacchiera in cui tutto è compreso in sé e per sé - all’interno dell’estensione, che è come  dire il tempo. Che però, come si sa, è relativo.

[Chiariamo meglio questo aspetto: indipendentemente che si pensi la partita in termini causali, come una successione di cause ed effetti, o in termini deterministici, come una catena di deduzioni, qualcuno “dovrebbe” giocare il gioco in prima persona al di fuori della partita, con o senza avversario, non importa. E invece No, perché in questo caso i pezzi stessi sono dentro la partita e per essi il gioco si presenta in tutt’altro modo: essi catturano pezzi e sono catturati da pezzi, sono coinvolti in una battaglia impietosa, non possono sapere nulla del piano di battaglia che li guida, ammesso che esista. Supporre questo, nel tumulto della battaglia, è pura metafisica; ciascuno avanza a fatica, secondo le proprie regole, il Pedone secondo le regole del Pedone, la Torre secondo le regole della Torre, eccetera. Col tempo i pezzi sanno per esperienza come si comportano gli altri, ma il loro sapere è vano: un’incredibile numero di posizioni diverse è possibile, una visione d’insieme è possibile solo in via ipotetica, gli eventi fortuiti aumentano a dismisura, gli errori in maniera inconcepibile; un mondo di incidenti e catastrofi prende il posto di un sistema causale e determimistico. È solo con i calcoli probabilistici, con la statistica che (forse) si potrebbe venire a capo di questa partita. ]

Naturalmente l’elemento più arbitrario, dal punto di vista dei singoli pezzi, è come sia stato deciso chi avrebbe dovuto giocare dalla parte dei bianchi e chi da quella dei neri – forse semplicemente lanciando una monetina?
Ora, è inutile fare tanto i pignoli, dal momento che appena uno o l’altro dei Re di diverso colore fosse messo sotto scacco, il gioco sarebbe concluso:  perderebbero tutti quanti, i Re come che  le squadre, e la vincita in palio non la ritirerebbe più nessuno.
Ma soprattutto, cosa c’era in palio? La “cosa” agognata, in senso cosmologico, il fine ultimo cui si tendeva la pargoletta mano, che ovviamente è il fine che avrebbe dovuto motivare il gioco?
Nessuno lo sa, e a quel punto nessuno lo potrà mai più sapere.
A meno che lo scopo del gioco non foss’altro che il gioco per il gioco, le divertissement, en bref …  Che nel caso di Einstein starebbe nel riuscire non solo a comprendere fino in fondo le leggi del gioco, ma anche a lanciare uno sguardo dal di fuori. Non facciamoci ingannare però, perché oltre a comprendere come si muovono i pezzi degli scacchi, fin nei minimi infinitesimi particolari,  nessuno, nemmeno Einstein può lanciare uno sguardo dal di fuori o dall’alto, perchè un fuori non c’è.  Nè capire perchè lo fanno. Certo, un qualche grado di talento intuitivo potrebbe dare l’impressione di, ma tutto sommato anche questo sguardo alla fin fine risulterebbe uno sguardo con riflessi similoro. Tutt’al più potrebbe fare l’arbitro, pronto a tirar fuori il cartellino o rosso o giallo, o a dire, E’ fallo!
Nel nostro caso, mah, non so … sopravvivere il più possibile? o persino nel migliore dei modi? Nel caso di Dio, bisogna ammettere che questo è l’aspetto più strambo,  poiché - ricapitolando - è Dio che ha deciso le regole (in modo arbitrario) e sempre Dio che gioca sia contro se stesso che contro tutti – esattamente come noi.

Di fatti, è assodato che le plaisir de Dieu va ben oltre la nostra umana comprensione – pare – poiché è del tutto inconcepibile che qualcuno, anche se di-vino, si possa divertire a giocare contro se stesso, per perdere e vincere nello stesso tempo – ah , non l’avevo detto, in realtà Dio, anche se apparentemente può sembrare, in realtà non perde mai. Tant’è che è ovvio chiedersi – ma che gusto c’è? e che gioca a fare?
Già, che noi si giochi per vincere, è naturale, e ci sta. Ma di cosa mai potrebbe gloriarsi Dio, se una parte di sé alla fine perdesse la partita? Ma nulla, semplicemente inizierebbe un’altra partita contro se stesso, e via e via.
È così: è un Dio giocherellone, facciamocene una ragione.  Ma non è un bimbetto, No, piuttosto è un giocatore incallito che nei secoli dei secoli ha maturato una chiara e rotonda ludo-dipendenza. Non so, forse bisognerebbe costringerlo a farsi psicoanalizzare, capire perché s’incallisce tanto, farlo tornare indietro indietro indietro fino all’origine di questa sua ludo-dipendenza congeniale – sempre che così facendo, ohibò, non si trasformi in una statua di sale. Capire, per esempio, perché non si accontenta di giocare con la palla. Palla a me, palla a te, palla di nuovo a me, palla ancora a te, semplice gioco diretto e lineare, senza sotterfugi trucchi inganni. Perché?
Non so perché. Ma se io fossi Dio avrei scelto un gioco a somma diversa da zero. Ci saremmo divertiti tutti di più.

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