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giovedì 3 aprile 2014

Thich Nhat Hanh: La persona che non ha nulla da fare

Da "http://francescodipalo.wordpress.com/2011/10/30/thich-nhat-hanh-la-persona-che-non-ha-nulla-da-fare/" :


A mio avviso, non c’e poi così tanto da fare, se non essere semplici, vestirsi, mangiare e trascorrere il tempo senza fare nulla.
Linji, Insegnamento 18

Chi studia il buddhismo e figlio del maestro Linji, anche se non ne conosce il nome. Nella tradizione zen, lo spirito del maestro Linji è in qualsiasi cosa pensiamo o facciamo.
II maestro Linji visse durante la dinastia Tang in Cina. Nacque nella provincia occidentale dello Shandong, proprio a sud dello Huang Ho, il fiume giallo, tra l’810 e l’815. Ancora giovane, lasciò la famiglia e si diresse verso nord per studiare con il patriarca zen Huangbo nel suo monastero vicino Hongzhou, nella provincia di Tiangzi, a sud del fiume Yangzi. La Cina viveva allora un periodo di instabilità politica; il buddhismo subì una grave repressione da parte del governo che culminò in un decreto, emesso nell’845 dall’imperatore Tang Wu Zong, che ordinava a tutti i monaci e a tutte le monache di rinunciare all’abito e di tornare alla vita laica. Vennero distrutti molti templi e statue, in particolare nelle città. I monasteri nelle zone periferiche vennero meno colpiti.
Dopo diversi anni, il giovane Linji venne mandato dal suo maestro a studiare per un breve periodo con il monaco eremita Dayu, e dopo qualche tempo torno a vivere con gli altri monaci presso il tempio del patriarca Huangbo. Più tardi divenne abate del monastero di Zhengzhou, nella provincia di Hebei, dove insegnò nel suo stile personale drammatico e diretto. Come era costume nella Cina di quell’epoca, prese il suo nome, Linji, dal nome della montagna dove visse e insegnò. Vi rimase sino alla sua morte, avvenuta nell’867. Non scrisse mai i propri insegnamenti, ma i suoi discepoli li annotarono e li trascrissero nel libro La raccolta di Linji.
Come giovane monaco, Linji studiò diligentemente e raggiunse una conoscenza profonda ed estesa del Tripitaka, i tre canestri degli insegnamenti buddhisti: i sutra, i commenti e il vinaya (i precetti monastici). Si accorse che, benché molti monaci studiassero diligentemente, non raggiungevano per questo alcuna particolare comprensione e trasformazione. Sembravano perseguire sempre maggiori conoscenze soltanto per accrescere la loro fama e la loro posizione nel monastero. Così, il maestro Linji lasciò gli studi e decise di seguire la vera pratica zen. Molti di noi hanno trascorso la vita studiando, interrogandosi, alla ricerca di qualcosa. Ma anche sul sentiero dell’illuminazione, se non facciamo che studiare stiamo sprecando tempo, il nostro e quello del nostro maestro. Questo non significa che non dovremmo studiare; lo studio e la pratica si sostengono a vicenda. Ciò che conta, però, non è la meta che cerchiamo di raggiungere, anche se è l’illuminazione, ma vivere veramente e pienamente ogni momento della vita.
Il maestro Linji aveva una solida conoscenza del canone buddhista, ma il suo metodo si basava sulla consapevolezza che ogni essere umano ha bisogno soltanto di risvegliarsi alla sua vera natura e di vivere come una persona semplice. II maestro Linji non si riteneva un maestro zen, ma un ‘buon amico spirituale’, in grado di aiutare gli altri sul sentiero. Il maestro Linji chiamava chi possedeva la visione profonda per insegnare ‘colui che ospita’, e il discepolo che veniva a imparare ‘colui che viene ospitato’.
Ai tempi del maestro Linji, alcuni termini buddhisti erano usati così spesso che avevano perso il loro significato. Parole come ‘liberazione’ o ‘illuminazione’ venivano rimuginate sino a quando perdevano il loro potere. Oggi è lo stesso. Si usano parole che stancano le orecchie. Alla televisione o alla radio e sui giornali termini come ‘sicurezza’ e ‘libertà’ ricorrono così spesso da non sortire più alcun effetto su di noi. Anche la parola più bella può perdere il suo significato, quando se ne abusa. Ad esempio, la parola ‘amore’ è una parola meravigliosa. Se ci piace mangiare gli hamburger, diciamo: “amo gli hamburger”. E allora cosa rimane del significato più profondo della parola ‘amore’?
Lo stesso vale per le parole buddhiste. Qualcuno può essere capace di parlare egregiamente di compassione, saggezza e non-se, ma ciò non aiuta necessariamente gli altri. E chi parla potrebbe avere ancora un grande sé e trattare male gli altri. II suo discorso eloquente potrebbe consistere solo di parole vuote. Potremmo stancarci di tutte queste parole, anche della parola ‘Buddha’. Allora il maestro Linji, per risvegliare la gente, inventò nuovi termini e nuovi modi di esprimersi più adatti alle esigenze del suo tempo.
Ad esempio, inventò il termine ‘persona senza impegni’, una persona che non ha né cose da fare né luoghi da raggiungere. Era il suo esempio ideale di come una persona può essere. Nel buddhismo theravada, la persona ideale era I’arhat, qualcuno che praticava per ottenere l’illuminazione. Nel buddhismo mahayana, la persona ideale era il bodhisattva, un essere compassionevole che aiutava gli altri sul sentiero dell’illuminazione.
Secondo il maestro Linji, la persona senza impegni è quella che non corre più dietro all’illuminazione e non si aggrappa più a nulla, neanche al Buddha in persona. Una persona simile si è semplicemente fermata, non viene più vincolata da nulla, nemmeno da teorie o insegnamenti. La persona senza impegni è la vera persona in ciascuno di noi. Questo è l’insegnamento essenziale del maestro Linji.
Quando impariamo a fermarci e a essere veramente vivi nel momento presente, siamo in contatto con ciò che accade in noi e intorno a noi. Non siamo trascinati via dal passato, dal futuro, da pensieri, idee, emozioni e progetti. Spesso pensiamo che le nostre idee sulle cose siano la realtà. La nostra nozione di Buddha potrebbe essere soltanto un’idea, lontana dal vero. II Buddha al di fuori di noi era un essere umano che è nato, è vissuto ed è morto. Cercare quel Buddha è come andare in cerca di un’ombra, del fantasma del Buddha. A un certo punto la nostra idea del Buddha potrebbe diventare addirittura un ostacolo.
Il maestro Linji diceva che quando incontriamo il fantasma del Buddha dovremmo tagliargli la testa. Sia che guardiamo dentro, sia che guardiamo fuori di noi, dobbiamo tagliare la testa a tutto ciò che mi incontriamo e abbandonare i punti di vista e le idee sulle cose, comprese quelle sul buddhismo e sugli insegnamenti buddhisti. Gli insegnamenti buddhisti non sono parole elevate e scritture che esistono fuori di noi, riposte su un alto ripiano del tempio, ma sono medicine per le malattie. Gli insegnamenti buddhisti sono mezzi capaci di curare l’ignoranza, l’avidità e la rabbia, come l’abitudine a cercare fuori di noi e a non avere fiducia in noi stessi.
La visione profonda non può essere trovata nei sutra, nei commenti o nei discorsi di Dharma. Non è dedicandoci allo studio delle scritture buddhiste che possiamo trovare la liberazione e la comprensione risvegliata. Sarebbe come cercare acqua fresca in ossa inaridite. Ritornando al momento presente con mente chiara, che esiste qui e ora, possiamo entrare in contatto con la liberazione e l’illuminazione, e anche con il Buddha stesso e tutti i suoi discepoli come realtà viventi proprio in questo momento.
La persona che non ha impegni è padrona di se stessa, non ha bisogno di darsi delle arie o di lasciare tracce dietro di sé. La persona vera partecipa attivamente e si impegna nel suo ambiente senza esserne oppressa. Sebbene tutti i fenomeni passino attraverso le varie apparenze di nascita, permanenza, cambiamento e morte, la vera persona non è vittima di tristezza, felicità, amore o odio. Che sia in piedi, cammini, sia sdraiata o seduta, vive consapevolmente come una persona semplice. Non recita nessuna parte, neppure quella del grande maestro zen. Questo intendeva il maestro Linji quando diceva: “sii padrone di te stesso, ovunque tu sia, e fa di quel luogo la sede del tuo risveglio”.
Ci potremmo chiedere: “Se la vera persona non ha nessuna direzione, non anela a realizzare un ideale, non ha alcuno scopo nella vita, allora chi aiuterà gli esseri viventi a raggiungere la liberazione, chi salverà coloro che stanno annegando nell’oceano della sofferenza?”. Un Buddha è una persona che non ha più impegni e che non cerca nulla. Nel non fare niente, nel semplice fermarci, possiamo vivere liberamente, fedeli a noi stessi, e la nostra liberazione contribuirà alla liberazione di tutti gli esseri.

[Fonte: Thich Nhat Hanh, Nulla da cercare. Un commento alla raccolta di Linji]

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